Il fallimento, la paura, la morte ci mettono davanti a dati di fatto, lasciano spazio a pochi giudizi ed obbligano a raccogliere eredità umane pesanti. La notizia della morte di un ventitreenne abruzzese che ha deciso di togliersi la vita dopo avere comunicato alla sua famiglia la data della discussione della sua tesi di Laurea ci obbliga a raccogliere la sua eredità umana e quella di chi come e prima di lui ha fatto lo stesso.

La prima cosa che occorre comprendere è la narrazione pubblica del mondo universitario e forse non esagerando dell’intero mondo dell’educazione, dove la fa da padrone un racconto polarizzato tra eccellenza e morti, nel mezzo di ciò c’è un’intera comunità studentesca che rimane nel sommerso del non narrato.

Eccellenza e morte di studio trovano entrambe radici in un dato: l’83% degli studenti soffre d’ansia. Davanti a ciò non si può più avere in mente delle individualità, racconti atomizzati, ma un grande noi che chiede aiuto e ascolto, nel quale mi sento profondamente incluso.  

Questa grande massa d’ansia è il prodotto di vite che conoscono tutte le forme di precarietà che bombardano ogni certezza e spingono a correre più forte possibile per scappare dall’abisso del fallimento verso la luce fioca e rara del successo.

La prima precarietà è quella della propria intimità e delle relazioni che la proteggono, dove vi è un ampio spettro di fragilità e incertezze che attraversano i propri sogni, le proprie paure, la propria sessualità, la propria identità di genere con pochi spazi di ascolto in affanno (come il SAP – servizio di aiuto psicologico) e molti di respingimento o indifferenza. In merito all’identità di genere ad esempio è fresco il dibattito sui cartelloni pubblicitari dei pro vita per la campagna #stopgender, molti dei quali sono stati strappati. Strappare un cartellone è certamente un gesto violento e che non può rientrare nel campo del dibattito democratico, ma in quest’aula dove le linee del gioco democratico sono ben tracciate condanno fermamente il contenuto dei cartelloni strappati e della scelta comunicativa fatta che vergognosamente associa chi educa al confronto con la propria intimità ad un pericoloso manipolatore alimentando sensazionalismi che rallentano il percorso verso un necessario confronto su questi temi.  

Strettamente connessa alla prima precarietà è la precarietà abitativa, senza casa o senza una casa dignitosa non ci può essere uno sviluppo sano dell’io ma neanche della rete sociale che costruisce un noi. Il disagio abitativo è il primo e il più impellente dal quale nascono anche le rivendicazioni più radicali per ottenere risposte da parte delle istituzioni, davanti a questo non possiamo bendarci gli occhi e tapparci le orecchie, l’amministrazione in questo mandato ha messo in campo importanti azioni, alle quali bisogna dare continuità e sempre più strutturalità, anche con il necessario supporto di operazioni legislative nazionali e di un lavoro sinergico tra enti.

Evidente è anche la precarietà professionale nella quale i giovani e le giovani di questo paese si trovano intrappolati. A partire dalla fase di formazione il lavoro è povero in termini di sicurezza e in termini di remunerazione, con poche prospettive di futuro solido e con una richiesta di energie decisamente più elevata rispetto alle soddisfazioni che dal dispendio di queste possono derivare. Su questo come lista stiamo lavorando per indagare a fondo la situazione lavorativa del nostro territorio per potere esercitare poi al meglio la nostra funzione di indirizzo e controllo verso forme di lavoro qualitativamente migliori.

In ultimo la precarietà economica è una costante che crea divari in termini di opportunità e prospettive di vita, ponendo inevitabilmente in condizioni di favore anche in campo educativo chi ha tempo e denaro per sostenere i propri studi e la propria vita durante questi. In tal senso va fatto un plauso all’iniziativa di Unibo di attivare il percorso a tempo parziale per facilitare la possibilità di studiare anche a chi lavora, io stesso per completare il mio percorso sto fruendo di questa opportunità. Oltre a ciò molte sono le iniziative che vanno promosse per ridurre al massimo l’impatto della disponibilità economica sulle possibilità di uno studente di formarsi.

Tutte queste forme di precarietà che come detto in apertura o schiacciano verso l’obbligo di eccellere o risucchiano verso il fallimento sono da combattere con fermezza e decisione. Come classe politica dobbiamo essere costruttori di stabilità, edificare porti sicuri nei quali chi è in difficoltà si può rifugiare dalle tempeste che agitano la vita.
Dobbiamo raccogliere le potenti e tragiche storie che leggiamo sui giornali per potere iniziare a scriverne una nuova, più corale, giusta e lungimirante.