La scorsa settimana abbiamo letto dell’ennesima tragica notizia della scomparsa di una giovane connessa allo studio, Diana Biondi, 27 anni, una Laurea in sospeso che pesa una vita. La morte di Diana mi ha riempito la testa delle limpide parole di Ungaretti in “Soldati” – “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Nel nostro paese oggi le stesse parole sono ugualmente vive in termini diversi, cambia il titolo: “Studenti” o meglio “Giovani” – “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Il rapporto con lo studio è uno dei tanti proiettili che lacerano il nostro io, ma anche senza essere studenti siamo mitragliati da dubbi che travolgono il rapporto con il nostro corpo, la nostra identità, il nostro lavoro, le nostre relazioni, la migrazione verso altri paesi, il nostro futuro promesso ma che non ci appartiene.
Accendo la TV ad ora di pranzo e il caso mi proietta davanti la notizia festosa della Laurea in Managment e comunicazione d’impresa di Valentina Rodini, campionessa olimpica di canottaggio a Tokyo, al termine di un percorso di studi peculiare che riconosce la specificità virtuosa della carriera duale studente – atleta. In questo racconto il successo pare una inscalfibile certezza granitica, io vedo le crepe.
Siamo immersi in una narrazione che ci contrappone costantemente due mondi, uno che conosce solo podi, uno che conosce solo baratri, due eterni rivali che non si sfiorano mai e tra i quali può esistere solo odio, fino ad arrivare ad annullare la bellezza e la legittimità del racconto di un successo, fino a soffocare ed umiliare il racconto del fallimento, della fragilità. Io credo in realtà che questi due mondi si penetrino costantemente. Credo che Diana abbia conosciuto la luce dei podi, credo che Valentina abbia brancolato nel buio dei baratri e che questo sia troppo complesso per essere raccontato. Misuro questo giochi di luci e ombre in me, nella voglia di eccellere che si spegne nella bidimensionalità di un voto, nelle cavità scavate dall’ansia di futuro che si riempiono nella felicità di alcuni momenti presenti, nelle notti insonni ad inseguire con la mente gli impegni che si addormentano nella semplicità accogliente degli affetti.
Proprio questi ultimi credo che abbiamo il profondo bisogno di allenare, insieme ad una collettivo senso di umanità, in grado di cogliere le sfumature dimenticate dal bianco e dal nero delle lettere dei giornali. Le aule universitarie, così come i luoghi di lavoro rischiano di essere luoghi asettici di competizione e non solo per colpa del “sistema”, ma anche di noi studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici che ci lasciamo incantare da promesse soliste di successo e carriere brillanti, quando la forza di costruire un rapporto sincero con un nostro compagno o compagna o collega potrebbe essere uno strumento di crescita più potente.
Certo non si risolve tutto solo con lo sviluppo faticoso di relazioni autentiche, servono professionisti e ricerca scientifica adeguata per affrontare la complessità dei mostri psicologici che camminano in questi tempi, ma sono convinto che una comunità matura debba parlare anche di relazioni, della loro fragilità, difficoltà e necessità, sono convinto che si debba parlare pubblicamente di dolore e dell’incapacità di affrontarlo, dell’algofobia che riguarda tutti noi e interessa profondamente anche la politica, spinta sempre di più verso il conformismo e sollecitata solo dalla pressione del consenso, installandosi in un’area palliativa, smarrendo qualsiasi vitalità e autenticità.
Servono piazze e spazi politici per liberare le fragilità, conoscerle, alleggerirle dal loro peso incontenibile. Sogno la rottura delle corazze che erigiamo per evitare di essere colpiti dalle delusioni che la vita ci prepara e per non fare contaminare nulla delle nostre sincere aspirazioni con l’ambiente esterno, fino a farle morire per carenza di ossigeno. Un aborto spontaneo dell’io.
Servono guide che abbiano voglia di fare crescere i giovani e non lanciarli con la fionda nel vuoto come se di per sé l’essere giovani fosse una qualità magica. Il messianico “Avanti i giovani” non ditelo più se non avete la voglia di farci andare avanti veramente, se non avete voglia di accompagnarci, noi non salveremo nulla se poi ci guardate come idioti e ci schernite per i nostri passi incerti.
In questo senso l’amministrazione bolognese non può sottrarsi dall’essere guida attenta che cura le foglie più giovani e traballanti del suo albero, non può essere terrorizzata dal dolore, deve essergli amica per poterlo affrontare e parlarne.
Devono essere potenziati i servizi come Psyinbo a cura degli psicanalisti di Dedalus presso l’Informagiovani, devono aumentare i finanziamenti strutturali in materia di politiche giovanili per avere una visione di lungo periodo e non una frammentazione progettuale che porta a pochi frutti, cosa già richiesta in sede di Bilancio da me e dal mio compagno Negash, con la consapevolezza che lo sforzo richiesto è grande, vista anche l’insensibilità da parte del governo centrale nella lettura della complessità del mondo giovanile e lo dimostra in primis il linguaggio utilizzato che lo spacchetta in “devianze” e “merito”.
Se non si assume con serietà un impegno politico e amministrativo verso i più giovani, dei versi di Ungaretti rimarrà solo il vuoto incerto dell’autunno e non ci saranno più gli alberi, e non ci saranno più le foglie.