Hebe de Bonafini, la leader storica delle Madri di plaza de Mayo, è morta all’età di 93 anni. La sua associazione è stata il simbolo della lotta contro i crimini della dittatura militare
Ha passato più di metà della vita cercando due figli, sequestrati dalla dittatura militare nel 1977. Il governo di Alberto Fernández ha decretato tre giorni di lutto nazionale, affermando in un comunicato: “Ha fatto luce nella notte buia della dittatura militare e ha aperto la strada al recupero della democrazia quarant’anni fa”.
Dopo aver pellegrinato per mesi per commissariati e associazioni alla ricerca di informazioni sui loro figli, desaparecidos. E dopo aver trascorso,insieme ad altre decine e decine di madri, le giornate nei corridoi degli uffici, in attesa di briciole di menzogne da funzionari ipocriti. Non ne potevano più. E sbottarono: “Non serve a niente. Dobbiamo chiedere conto al governo. Andiamo a Plaza de Mayo”. Tanti furono ingoiati come altri 30mila argentini dal terrore dell’ultima dittatura militare (1976-1983).
Da quella frase improvvisa, è nato il movimento simbolo della lotta non violenta al regime argentino. Modello di molte altre resistenze al femminile nel mondo. Le Madri di Plaza de Mayo. Il pomeriggio del 30 aprile 1977 si ritrovarono in poche: 14. Fu tutta un’improvvisazione. Perfino la data fù scelta quasi a caso, senza nemmeno guardare il calendario. Il fazzoletto bianco arrivò in seguito,come pure la scelta del giovedì. Ogni giovedì, da quarant’anni, alle 15.30 il cuore dell’Argentina palpita a Plaza de Mayo. Una dopo l’altra, le madri arrivano. C’è chi si aggrappa al bastone, chi al braccio di un nipote affettuoso. Nella forza inarrestabile della loro marcia silenziosa si respirava un’atmosfera particolare, densa, quasi palpabile, struggente, devastante e irreale allo stesso tempo. L’intensità dell’amore con cui le madri pensano ai loro figli rendeva la lotta delle madri non un residuo del passato ma un seme di futuro. Sole e chiuse ciascuna nella propria sofferenza, erano destinate a soccombere.
Nel pianto comune, hanno imparato a moltiplicare l’amore, riversandosi su tutti i ragazzi desaparecidos. L’amore ha dato alle Madres la forza di andare avanti. E di lottare per la memoria, la verità e la giustizia, in Argentina come in ogni altra parte del mondo. Perché – come amano ripetere – «siamo persone normali che hanno lottato contro una mentalità fascista , di copertura, perché instaurare un regime è un processo più semplice e veloce di quello che possa sembrare. La pietra miliare su cui si poggiano tutti è l’indifferenza. Mai più il silenzio. Ma deve esserci anche solidarietà. Verso ogni forma di discriminazione e razzismo, anche verso i rifugiati. Le lotte per il bene non sono mai perse. La sconfitta è restare inermi». .
E’ un messaggio di lotta e di speranza intramontabile. Attualissimo in particolare oggi: in questi ultimi anni e in questi stessi giorni che continuano a registrarsi pesanti, dolorosi attacchi ai diritti umani fondamentali, troppo spesso in un clima di diffusa indifferenza o addirittura di “fastidio” da parte di gran parte della politica internazionale e nazionale, dei governi, dei media, dell’opinione pubblica. Un terribile grido di dolore viene ad esempio dall’Iran, ancora una volta su iniziativa di tante donne armate solo di coraggio e determinazione. Ma se la battaglia delle ragazze iraniane ha in qualche modo un’eco sempre più vasto, sono purtroppo tantissimi i casi ignorati o addirittura “silenziati”. Basti pensare, ad esempio, alla resistenza – alimentata anche qui in gran parte dalle donne – del popolo curdo, che si batte per la sua stessa sopravvivenza in Turchia, in Siria, in Iran e in Iraq e contro cui il governo di Ankara ha appena lanciato un’altra, ennesima, sanguinosa offensiva. O alla tragedia dei profughi/migranti in fuga da situazioni di crisi terribili ma contro i quali, nella Fortezza Europa e più in generale nel Nord del mondo, si continuano ad alzare muri e barriere che ne annullano i diritti più elementari, a cominciare da quello alla vita stessa, alla libertà, alla speranza di un futuro dignitoso.
E allora il modo migliore di onorare la memoria di Hebe de Bonafini è uno solo: battersi senza esitazioni in difesa dei diritti umani ovunque siano messi in discussione o addirittura a rischio. Schierarsi senza esitazione dalla parte degli ultimi e battersi al loro fianco. Il primo passo, in questa battaglia, è ascoltarli e comprenderne le ragioni. Proprio come chiedevano le madri di Plaza De Mayo. Il Comune di Bologna ha mostrato in più occasioni questa sensibilità. E’ già tanto, ma non basta. C’è da augurarsi che si adoperi perché questa diventi una sensibilità diffusa, propria di tutti i Comuni d’Italia. Affinché tutti insieme i Comuni, che sono lo Stato in prima linea, lo Stato che opera a diretto contatto con la gente, riescano ad abbattere il muro di indifferenza o di ostilità che troppo spesso, su questi temi, caratterizza e guida le politiche nazionali e internazionali.
Sarei davvero orgoglioso se il Comune di Bologna, il mio Comune,fosse il capofila in questa battaglia.