È notizia di questi giorni la morte di Giuliano De Seta, 18 anni, colpito da una lastra di metallo mentre lavorava in un progetto di alternanza scuola lavoro presso la BC Service di Noventa di Piave.
Non è il primo evento tragico che ci troviamo a leggere e commentare di un giovanissimo che nelle ore di scuola trova la morte in un cantiere, tutto ciò è inaccettabile.
La scuola non può diventare veicolo di diseguaglianze, cosa che accade se si immette in un mercato del lavoro insicuro e cannibale uno studente, che senza tutele e presidi di sicurezza è tenuto a prestare il proprio lavoro gratuitamente.
Io sono fortemente critico con l’alternanza non perché strutturalmente inefficace, ci sono molti esempi di alternanza che hanno aperto alle porte del mondo del lavoro seriamente e hanno completato in modo esaustivo la formazione di ragazzi e ragazze, il problema è che in altri casi, dove il luogo di lavoro era malsano e insicuro, ciò ha comportato conseguenze gravissime.
In alcuni casi si trovano esempi estremamente virtuosi di alternanza come quello che abbiamo avuto la fortuna di osservare la scorsa settimana in Ducati, con uno spazio dedicato agli studenti per potere lavorare accompagnati da tutor in un ambiente controllato, rivolto all’istruzione e non alla produzione. Queste due cose facilmente si confondono e sovrappongono in altri luoghi lavorativi meno attrezzati dove lo studente a tutti gli effetti diventa lavoratore e il senso di scuola si perde fino alla morte in alcuni casi.
È su questo che dovremmo concentrarci, non è più tollerabile l’affermazione “ha anche funzionato”, se contemporaneamente si verificano tragedie come quella di questi giorni.
L’alternanza è un modello educativo fondato sulla fortuna più di quanto non lo sia già la scuola in sé. Capita di trovare nel proprio percorso di studi parecchi professori non bravi, in questi casi il danno peggiore è quello di apprendere con più difficoltà o non apprendere. Se però nel proprio percorso di studi si ha la sfortuna di imbattersi in un luogo di lavoro insicuro il rischio è la morte.
Un’istruzione basata sulla fortuna non è tollerabile, perché il suo compito è esattamente l’opposto: cercare di ridurre l’impatto della fortuna sulle vite dei ragazzi e delle ragazze per costruire blocchi di partenza per il percorso di vita il quanto più uguali possibile.
Le criticità dell’alternanza non sono proprie solamente degli istituti tecnici e professionali ma anche dei licei, nei quali i percorsi di alternanza a volte fanno fatica a trovare un senso. Io ad esempio al liceo classico ho fatto marketing per 3 anni, cosa che mi ha anche appassionato, ma molti miei compagni di classe non hanno trovato una logica in tutto questo. Studenti di altre classi hanno dovuto affrontare su base di estrazione casuale, materie di studio che per nulla gli interessavano, o lavorare come scaffalisti in biblioteche, sottraendo tempo alle ore in classe.
L’alternanza, così come concepita, è una riforma che deriva dall’ansia di essere competitivi, di ridurre il sapere e aumentare le competenze, di aumentare la concretezza delle ore di lezione dimenticando che il tempo dedicato al lavoro deve essere comunque approcciato con uno scopo formativo e non quello di prestazione lavorativa gratuita o di nullafacenza.
Io credo sia necessario avere più scuola e non più forme ibride di scuola che sfumano nello sfruttamento o nella perdita di tempo.
L’attuale legge 107 del 2015 è troppo debole nel determinare le regole con le quali si sta sul posto di lavoro e nel definire in modo chiaro quello che deve essere il ruolo educativo dell’esperienza fatta, per questo credo sia fondamentale aprire una nuova discussione seria su questo modello scolastico.
Io vorrei una scuola a “pieno tempo”, con la stessa portata rivoluzionaria e provocatoria che don Milani dava a questa definizione in “lettera a una professoressa”: “La parola pieno tempo vi fa paura. Vi par già difficile reggere i ragazzi quelle poche ore. Ma è che non avete mai provato. Finora avete fatto scuola con l’ossessione della campanella, del programma da finire prima di giugno. Non avete potuto allargare la visuale, rispondere alla curiosità dei ragazzi, portare il discorso fino in fondo. Così è finito che avete fatto tutto male e siete rimasti scontenti voi e i ragazzi. È la scontentezza che v’ha stancato non le ore”.
Queste parole bussano alle porte della politica e alle porte delle sale docenti, interrogano i genitori e gli studenti. Su queste parole a mio parere serve ricostruire la scuola, con il coraggio di consegnarle sempre più tempo e potenziare il suo ruolo.