Il conflitto tra Israele e Palestina non è una questione Mediorientale, è una questione mondiale, italiana, bolognese.
Ciò è evidente per il semplice fatto che dal 7 ottobre si sono moltiplicate le iniziative che hanno popolato le vie della nostra città, a sostegno di Israele, a sostegno della Palestina, a sostegno della pace. È impossibile rimanere indifferenti alla questione, tutti hanno un’opinione, a volte sacrificando il dovere di approfondimento e comprensione della complessità che riguarda una storia lunga e travagliata di cui le ultime settimane costituiscono l’eruzione dopo decenni di eventi sismici ignorati che annunciavano l’accumularsi di tensione.
Tensione che si continua a costruire in questi giorni a tutti i livelli istituzionali e sui media, da chi diffonde notizie false, a chi taglia l’argomento con l’accetta per rappresentarsi dalla parte del giusto, fino a chi nella nostra città arriva a chiedere la revoca della cittadinanza onoraria a Patrick Zaki per un tweet, senza dare alcun peso alle parole e alle riflessioni che lo hanno accompagnato. Chi parla superficialmente di guerra e di chi ha vissuto esperienze di dolore, a maggior ragione se ricopre un ruolo istituzionale, sta contribuendo a costruire altra guerra.
La mia preoccupazione per questo clima di tensione è altissima, l’attacco di Hamas del 7 ottobre è stato scellerato e brutale come intollerabile è la distruzione di massa che sta perpetuando Israele a Gaza e il timore che la spirale di violenza non si arresti ed anzi aumenti, portandoci a contare sempre piu morti civili, a coinvolgere altri paesi, mi tormenta.
Ciò che mi tormenta ancora di più è come affrontiamo il tema della pace. Il cessate il fuoco è l’obiettivo, l’immediato stop di carneficine di civili è una assoluta priorità.
Ma come si arriva a costruire la pace senza giustizia? Se si continua ad estromettere la giustizia dalle nostre riflessioni, continuiamo a parlare di pace senza cognizione di causa.
Va detto chiaramente che ciò che il popolo Palestinese sta subendo è un’ingiustizia, che il Governo israeliano agisce da tempo consumando crimini contro l’umanità soffocando il diritto ad esistere di migliaia di persone, che Hamas non è la Palestina, semmai il frutto delle sofferenze che la abitano, e che il popolo israeliano non è il suo governo e per questo in molti protestano gridando “not in our name” e lo facevano già prima che esplodesse il conflitto, proprio sulla riforma della giustizia promossa da Netanyahu.
Il simbolo che rappresenta questo focolare di ingiustizie è la bandiera della Palestina, in grado di rappresentare il dolore e le contraddizioni che riguardano il Medio Oriente ma anche le nostre periferie. Sotto la bandiera della Palestina si ritrovano le ingiustizie che subiscono le seconde e le terze generazioni che abitano le città europee, intrappolate in identità ibride, nel conflitto di una nascita in occidente priva di riconoscimenti e diritti, ai margini fisici e sociali delle nostre comunità.
Questo è quanto si vede nelle nostre piazze, questo è quanto si è visto ieri a Bologna, ma ciò che prevale è l’incomprensione del profondo legame tra quanto sta accadendo a Gaza e quanto accade nella nostra città, in Bolognina, alla Barca, al Pilastro o altrove, concedendo così il fianco a radicalizzazioni e inasprendo le tensioni sociali.
Bandire la bandiera della Palestina come provato a fare dalla Francia è in primo luogo un modo per sotterrare i problemi tutti interni al paese che sotto quella bandiera si riuniscono, inasprendoli, ma anche marginalizzare il fenomeno o narrarlo male come piazze filo-Hamas genera gli stessi esiti.
Oggi più che mai come politici dobbiamo impegnarci a costruire percorsi di giustizia che partano dalle marginalità che in decenni abbiamo costruito nei nostri paesi europei per guarire la rabbia che dilaga.
Oggi più che mai la comunità internazionale deve richiedere giustizia per avere pace. I grandi percorsi di pace sono stati percorsi di giustizia, dall’Apartheid sudafricana si è usciti con un percorso di giustizia che ha messo a confronto vittime e carnefici, ricostruendo comunità. Di questo dobbiamo avere sete, questo dobbiamo richiedere senza sosta, senza cadere negli errori che hanno accompagnato altre tensioni internazionali che nell’inseguimento cieco della pace non hanno fatto altro che portare altra guerra.