In questi giorni si sono verificate varie occupazioni in città, Sabin, Copernico e Minghetti. Ad ogni occupazione scolastica corrisponde il binario incasellamento nel dibattito pubblico in giusto e sbagliato, illegale e legale, dibattito ripetitivo dal quale mi voglio sottrarre perché non ritengo che sia utile alla crescita della città e delle comunità educative. 

Credo invece opportuno riflettere sul contesto che circonda “il rito stanco”, come definito sui giornali, dell’occupazione studentesca. 

Credo che definire l’occupazione un “rito stanco” sia un gesto di grande ipocrisia adulta, ciò che è più stanco delle occupazioni è la narrazione che c’è intorno al mondo dei giovani a partire dalla nostra fragilità, considerata come caratteristica fondante del nostro essere, andando a dipingerci come volubili, non in grado di ottenere ciò che vogliamo, allergici agli ostacoli e alle difficoltà, un gruppo di capricciosi e capricciose viziate che non ha capito come si sta al mondo. 

Certo, la mia generazione e quelle più piccole stanno affrontando grandi paure che evidentemente ci rendono fragili, ciò che mi disturba è che in questa riflessione non si indaghi l’origine di questa fragilità e che il mondo degli adulti rimanga sempre escluso dall’analisi, questo credo che sia un gravissimo errore, perché è altrettanto evidente che la fragilità dei figli è sorella della fragilità di una comunità adulta debole, che si sottrae spesso al confronto, che all’emersione della confusione contrappone rigidamente la pretesa di ordine, che non è in grado di offrire responsabilità e opportunità. Per parlare seriamente di giovani dovremmo puntare un po’ i fari anche verso la comunità adulta, instillare in essa interrogativi e curarla dalla sua fragilità che le impedisce di mettersi in discussione. 

Occorre fare una seconda riflessione. Quando i giovani prendono parola? Quando vengono intervistati dai giornali? Quando occupano. È l’unico spazio mediatico concesso con un ruolo attivo, per il resto sono solo oggetto di narrazione e studio. Se l’occupazione scolastica è un rito stanco è la logica conseguenza di un contesto che attende la parola dei ragazzi e delle ragazze solo in questa speciale occasione che con più o meno coinvolgimento si ripete annualmente. 

Al contempo, ciò che è evidente è che un’occupazione scolastica non è più sufficiente per fare emergere con voce limpida le proposte e le problematiche, rimane intrappolata, salvo casi rari, nella sua natura depotenziata a gesto inutile dal dibattito pubblico, così lo stesso ruolo attivo degli studenti e delle studentesse perde parte del suo significato. Qui mi rivolgo ai miei coetanei e ai più piccoli, cosa ci può essere oltre ad un’occupazione? Come si può restituire credibilità alla nostra voce? Anche noi dobbiamo riflettere e organizzarci per scardinare la narrazione statica che avvolge le nostre proteste.

In un confronto che superi il calore mediatico delle settimane di occupazione io ed altri Consiglieri ci siamo già dati disponibili e continueremo a farlo per costruire spazi di responsabilità, crescita ed emersione delle difficoltà, noi crediamo che un nuovo rapporto tra più piccoli e grandi sia possibile e in questo ci impegneremo.

In ultimo ci tengo a prestare solidarietà alle comunità studentesche che hanno subito attacchi nella notte e che hanno subito danni, questi spiacevoli avvenimenti non devono essere strumentalizzati per delegittimare ulteriormente le azioni studentesche, i ragazzi e le ragazze che in questi giorni hanno occupato hanno già manifestato pubblicamente l’attaccamento ai loro istituti e la volontà di ripristinare i danni che soggetti esterni hanno recato. Eviterei su questo una seconda vittimizzazione a chi ha subito violenza e ora si sta impegnando con responsabilità di rimediare a danni recati da altri.