Nel linguaggio dei protettori civili, il termine “emergenza” evoca una condizione ben definita: qualcosa che minaccia la vita, la salute, le proprietà o l’ambiente. È una situazione che ha la possibilità di evolvere verso scenari peggiori, richiedendo decisioni e azioni rapide con misure straordinarie. Tuttavia, è giunto il momento di riflettere attentamente su come utilizziamo questa parola quando si tratta di flussi migratori.

Alcuni potrebbero essere tentati di considerare l’arrivo di migranti nel nostro paese come un’emergenza. Ma dovremmo davvero farlo? I processi migratori sono una parte intrinseca della storia recente dell’Italia e, probabilmente, continueranno ad esserlo anche negli anni a venire. Ogni specie, compresa l’umanità, cerca condizioni di sopravvivenza più adatte, e nell’era della comunicazione globale, i paesi “privilegiati” spesso diventano un modello per coloro che vivono in condizioni meno fortunate.

Le nuove rotte migratorie verso l’Italia, insieme al caos nei centri di accoglienza (o forse sarebbe più corretto chiamarli “carceri libiche”), non sono certo una sorpresa. Questa crisi è stata ampiamente annunciata e prevista. Possedevamo tutti gli elementi conoscitivi in tempi non sospetti.

Sono passati dodici anni dalla cosiddetta “primavera araba,” che ha innescato la crisi libica e altre crisi regionali. Questi eventi hanno spinto milioni di persone a fuggire dai paesi in guerra, molti dei quali sono arrivati in Europa. Dodici anni sono un tempo sufficiente per trasformare un’emergenza in un processo di gestione strutturata e governata da criteri diversi.

Sembrerebbe che ci sia una difficoltà storica nell’Italia nel governare i processi migratori e nell’integrare in modo efficace le risorse umane che arrivano. Queste risorse, se gestite adeguatamente, potrebbero contribuire a superare sfide come la bassa natalità, l’invecchiamento della popolazione e la carenza di manodopera che colpisce industria, commercio e agricoltura.

Affermare che 100.000 persone rappresentano un’emergenza grave per un paese di 60 milioni di abitanti, la settima potenza economica del mondo, sembra difficile da giustificare. È altrettanto difficile da comprendere quando i leader di paesi membri dell’Unione Europea dichiarano che un milione di migranti che sono arrivati in Europa nel 2022 rappresenti una minaccia esistenziale.

La somma delle popolazioni e delle economie dei 27 stati membri europei li posiziona tra le principali potenze economiche del pianeta. Tuttavia, sembrano mancare i pilastri solidi per sostenere questa Unione. Un milione su 500 milioni rappresenta una frazione minima, e se questa frazione può destabilizzare stati membri e l’intera Unione, potrebbe esserci un problema strutturale sottostante.

Infine, dovremmo considerare l’articolo 13 e 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sottoscritta anche dall’Italia nel 1948. Questi articoli sanciscono il diritto di ogni individuo di cercare asilo se soggetti a persecuzioni e il diritto di lasciare qualsiasi paese e ritornare nel proprio. Forse è giunto il momento di rivedere questa dichiarazione, correggendo alcuni articoli per renderla più adeguata ai tempi attuali.

Il dibattito sulla gestione dei flussi migratori sembra andare in aperta violazione di questa convenzione. Sarebbe opportuno che qualcuno avesse la forza e il coraggio politico di sollevare la questione e chiedere un dibattito sul tema. Sorprende che ciò non sia ancora accaduto, considerando l’importanza di una questione così fondamentale per la società moderna.