L’eccidio delle Fosse Ardeatine, avvenuto il 24 marzo 1944 a Roma durante la Seconda Guerra Mondiale, rappresenta uno dei momenti più tragici della storia italiana. In risposta all’attentato partigiano di via Rasella dove furono uccisi 33 soldati, le truppe di occupazione tedesche uccisero brutalmente 335 civili e militari italiani, tra cui prigionieri politici, ebrei e detenuti comuni. Inoltre, il comando tedesco ordinò che per ogni tedesco assassinato, dieci prigionieri comunisti o badogliani fossero fucilati. Il generale Kurt Mälzer, sconvolto dall’attentato, minacciò la distruzione del quartiere e l’eliminazione degli abitanti. Il colonnello Kappler, su ordine di Mälzer, ordinò l’uccisione delle persone in rappresaglia. Questo atroce massacro, senza preavviso, rappresenta il simbolo dell’oppressione tedesca a Roma, causando profonda indignazione e rimanendo nella memoria collettiva come un oscuro capitolo della storia italiana.

Per questo dobbiamo stare attenti affinché la storia non si ripeti, le punizioni collettive hanno solo portato sofferenze e tragedie,  dopo l’operazione di Hamas che ha causato la morte di almeno 1.400 israeliani a Gaza il governo israeliano ha ucciso più di 11.180 persone, tra cui 4.609 bambini. Nel più grande ospedale di Gaza, l’Al-Shifa, migliaia di persone sono intrappolate a causa dei feroci combattimenti tra le forze israeliane e quelle di Hamas. Le condizioni stanno peggiorando per centinaia di pazienti e migliaia di rifugiati attorno all’ospedale. Secondo le Nazioni Unite, venti dei 36 ospedali di Gaza non funzionano più a causa della guerra in corso da cinque settimane. Un sondaggio dell’Israel Democracy Institute ha rivelato che molti israeliani sostengono i colloqui per ottenere il rilascio degli ostaggi, ma ritengono che i combattimenti non debbano essere interrotti. La situazione continua a deteriorarsi, mettendo a rischio la vita di molte persone nella regione.

Non vi è giustificazione alcuna per l’operato di Hamas, neppure la disperazione e l’esasperazione del popolo palestinese, vittima da decenni dell’occupazione, della restrizione delle libertà, della demolizione delle case, dell’espropriazione dei terreni e delle continue provocazioni delle frange radicali della destra israeliana e dei coloni può trovare una risposta nell’azione terroristica e militare. La nostra condanna contro ogni forma di violenza, di aggressione e di rappresaglia contro la popolazione civile, sia palestinese, sia israeliana è assoluta.

Le  tre scimmie insieme danno corpo al principio proverbiale del “non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male”,  tanti media e politici dell’occidente si trovano in questa situazione e intanto la popolazione si mobilità ovunque . Mentre la gente muore sotto le bombe, non basta andare in piazza per gridare la pace, bisogna che ci sia una presa di posizione forte e si interpreti la pace in maniera fattuale. Oggi, pace vuole dire cessate il fuoco e ingresso di aiuti umanitari urgenti per gli ospedali e la popolazione civile. Abbiamo di fronte una situazione oggettiva: ci sono più di 2 milioni palestinesi sotto le bombe, non si fa distinzione tra civili e non; vengono bombardate chiese, moschee, ospedali, scuole. Questo non si può negare, senza voler disquisire sulle questioni geopolitiche del conflitto. C’è questa popolazione che viene affamata, gli viene negato cibo, acqua potabile, medicinali. Una vera e propria punizione collettiva. 

Quindi quando parliamo di una manifestazione per la pace, parliamo di un’iniziativa che intervenga almeno sul dato oggettivo. Sono consapevole che non basti una manifestazione per risolvere radicalmente il conflitto israelo-palestinese. Ma come comunità religiose, come società civile, tutte le anime della nostra città insieme possiamo scendere in piazza per dire di cessare il fuoco; come dice Papa Francesco: “tacciano le armi!” Partiamo da questo e dagli aiuti umanitari. Poi in altre sedi potremo aprire il discorso sulle posizioni pro-Palestina, pro-Israele, le ragioni di uno e dell’altro. Se la nostra manifestazione parte da questo presupposto, ha senso e diventa coerente anche con l’umanità di tutti.

Dobbiamo unirci, indipendentemente dalle nostre convinzioni politiche, religiose o nazionali, in un appello concreto per porre fine a questa tragedia. La sofferenza dei bambini, delle famiglie, dei malati e dei più vulnerabili non può più essere ignorata. La nostra voce, unita e decisa, può contribuire a mettere fine a questo conflitto, almeno temporaneamente, per permettere l’arrivo degli aiuti umanitari essenziali.

Dopo l’ordine del giorno della settimana scorsa, ancora una volta non possiamo restare indifferenti di fronte a questa situazione. Ogni vita conta, e dobbiamo agire ora, insieme, per porre fine a questa violenza insensata e per portare speranza e aiuto a coloro che ne hanno più bisogno.