Nonostante governo e Eliseo abbiano preso le distanze dall’azione omicida della polizia che ha innescato la protesta, la mobilitazione a Parigi continua e contamina altri paesi.
La tensione scaturisce spesso dalle seconde o terze generazioni, che non hanno conosciuto le sofferenze delle migrazioni, ma alle quali la società francese non offre abbastanza. Il grosso problema riguarda l’orientamento e l’educazione di questi ragazzi, che in molte banlieue non è sufficiente per permettersi di trovare un lavoro alla fine degli studi: cosicché si genera una rivolta contro la società dei consumi che li blandisce ma non permette loro di avere accesso. L’ascensore sociale non funziona più. Occorrerebbe un cambio di passo che l’”altra Francia” – la Francia dei garantiti, la Francia prevalentemente bianca, la Francia dell’establishment politico e culturale – non è ancora disposta fare, cominciando a rimettere in discussione un modello di Stato che esalta i principi di uguaglianza, integrazione e laicità, senza riuscire a risolvere un sostanziale “apartheid” sociale, culturale e persino religioso.
Al contrario, l’”altra Francia” è scivolata negli ultimi anni verso una deriva di indifferenza, paura, repulsione e persino stigmatizzazione culturale di cui sono portatori soprattutto i partiti di destra e di estrema destra e alcuni intellettuali che hanno alimentato la teoria della sostituzione etnica e della scomparsa della Francia bianca e cristiana.
C’è un solo partito che sta traendo vantaggio dagli eventi in corso, ed è quello di Marine Le Pen. L’elemento identitario nazionalista e etnico trova motivo di rafforzarsi, opponendo i francesi da molte generazioni a quelli di origine straniera: i francesi spaventati da quel che accade voteranno a destra. Il che è tanto più paradossale in quanto non abbiamo mai avuto possibilità di viaggiare e informarci come oggi. Ma, invece di aprire al mondo, questo rafforza le visioni particolaristiche e ristrette della popolazione. C’è un malessere che dura da anni ed è collegato al fatto che le banlieue sono diventate sempre più dei luoghi occupati da etnie e comunità specifiche. Le migrazioni si basano su reti di solidarietà, per cui c’è una spinta a raggrupparsi per vivere insieme: diversi quartieri delle periferie sono diventati molto omogenei dal punto di vista etnico, nazionale o religioso.
Per capire questa dinamica sono andato a vedere la carte della emigrazione Italiana negli Stati Uniti. Il razzismo colpì tutti e fece degli italiani i più maltrattati di tutti gli stranieri. Lo scrittore Charles Dickens, fù feroce fino al razzismo con gli italiani, descrisse tutta l’Italia come un paese di prostitute, ladri, zozzoni, accoltellatori. Il nostro paese era visto come un paradiso dal sesso libero, per tutte le tasche e per tutti i gusti. Su ogni città dell’Italia si costruiva uno stereotipo il quale nasce da un’immagine, finisce in un libro, poi in un altro, cavalcato dai giornali, gonfiato dalle masse. Così che si crea un’idea sbagliata tanto che poi ci vogliono decenni perché i pregiudizi siano messi in dubbio, corretti e rimossi. Per cui, oltre alla sacca con i poveri bagagli fatta col lenzuolo vecchio, i nostri emigrati furono costretti a caricarsi sulle spalle anche lo stereotipo che gli avevano creato.
Negli Stati Uniti, specialmente a New York, la maggioranza dei nostri compatrioti abitava nel quartiere meno pulito della città. Qui la gente era accostata peggio delle bestie. I nostri nonni che abitavano nella città chiamata i “Cinque Punti” erano persone non considerate, valevano ‘zero’, nonostante lavoravano, guadagnavano e risparmiavano. Lo stereotipo italiano era entrato nelle menti di tutti. La parola più usata all’estero in abbinamento all’Italia è Mafia. Era sufficiente avere un cognome che finiva con una vocale per essere bollati come anomali. Alcuni studiosi italiani dimostrano che la miseria e la disperazione conducevano al crimine, alla malattia.
Tutta la storia della grande criminalità americana è segnata da nomi italiani. Si sollevò un’ondata di odio anti-italiano. Furono arrestati molti nostri nazionali. Si mise un agende ad ogni angolo di ogni quartiere abitato da italiani. La principale accusa che si muoveva era quella di non saper parlare in inglese e di essere cattolici. Colpevoli o innocenti tutti gli italiani dovevano essere impiccati per ciò che avevano causato. I nostri emigrati erano visti dai giornali e dai libri di poesia dei paesi d’accoglienza come peggiori rifiuti d’Europa, pigri, venali, camorristi, corruttori di giudici e politici, fannulloni, felici di sguazzare nella spazzatura maleodoranti, ultimi a imparare l’inglese, madri maledette dai figlioli venduti, mendicanti per professione e per piacere, detentori del record di criminalità, superstiziosi, povere bestie. Così, i nostri emigrati, venivano descritti dalla gente dei paesi dove credevano di trovare un Nuovo Mondo.