La nostra società è sommersa dalla violenza in tutte le sue forme e in tutti gli spazi di socialità fisici e virtuali. In questi ultimi mesi estivi è stato impossibile non vederla, visto l’alto numero di vicende che si sono verificate e che hanno fortemente toccato la nostra città.

Purtroppo tra le violenze rimane immanente e frequente nella nostra quotidianità quella di genere, fondata su elementi culturali incancreniti, sulla disparità di condizioni sociali, sugli stereotipi, sull’orientamento sessuale.

Quello che è accaduto ad Alessandra Matteuzzi è una testimonianza scottante di tutto ciò, come lo sono fatti che non hanno raggiunto lo stesso apice di tragicità ma che denotano in modo evidente il problema; mi riferisco a quanto denunciato da Porpora Marcasciano e Mattia La Manna, due casi di violenze fisiche e verbali che non lasciano spazio a dubbi sulla necessità di un intervento legislativo in materia di “Delitti contro l’eguaglianza”.

È notizia di ieri di un’altra vicenda di tentato femminicidio. L’uomo che portava avanti da tempo condotte violente e che aveva già tentato di soffocare la compagna ha ringraziato le forze dell’ordine che lo hanno arrestato mentre attendeva la vittima sotto casa, consapevole della gravità delle azioni che avrebbe commesso se non fosse stato fermato. Questo rende evidente come sia necessario lavorare al cambiamento dei maltrattanti che in alcuni casi dimostrano, anche esplicitamente, la volontà di farlo per liberarsi da un demone interiore. In questo, come ben ricordava la Vicesindaca Clancy in question time, la Legge 69 del 2019, il così detto “Codice Rosso”, ha aperto nuove prospettive, ma per dare gambe a percorsi educativi e di recupero dei maltrattanti è necessario investire risorse a livello statale.

In merito a ciò già avevo portato all’attenzione di questo Consiglio la mia convinzione di quanto sia urgente in ottica preventiva di atteggiamenti violenti una politica di emancipazione dell’uomo dall’immagine culturale che gli è cucita addosso e che in alcuni casi assume forme mostruose, seguendo gli interessanti pensieri e proposte della giurista statunitense Ruth Ginsburg che ha tracciato la via della lotta per la parità di genere battagliando per i diritti degli uomini per ricalibrare in primis il carico dei lavori di cura, aprendo la strada dei congedi per motivi famigliari e alla possibilità per l’uomo di occuparsi delle vicende domestiche. Questi passi pionieristici nell’approccio al tema della parità sono purtroppo ancora i primi di un percorso che almeno nel nostro paese si annuncia lungo.

Mi preme evidenziare un ulteriore aspetto relativo alla violenza di genere e non che è di estrema attualità, ovvero l’effetto social. I social si sono dimostrati in queste vicende o come un potente veicolo di solidarietà, penso che in questo Porpora e Mattia ne siano testimoni o come una macchina che potenzia i pugni della violenza, come purtroppo è stato reso evidente da tentativi maldestri di denuncia da parte di esponenti politici di primo piano che si sono poi rivelati una danza sulle ferite aperte di chi era in uno stato di fragilità.

La violenza a mio parere non può che essere tratta con delicatezza e c’è un’estrema necessità di recuperarla nell’affrontare il dolore. Sono realmente inquietato da chi risponde alla violenza con altra violenza mediatica e verbale, credo che ciò incentivi solo spirali di follia e ci allontani dai problemi e dalle sofferenze. La ricerca del contatto privato, della reale vicinanza è la dimensione alla quale dovremmo aspirare come politici e verso la quale fare camminare chi ci ascolta.

In ultimo ci tengo a riportare con sgomento l’estrema frequenza di messaggi che sui social mettono in dubbio le denunce di violenze effettuate, come se la parola non avesse un peso, come se il dolore fosse una merce in vendita per avere in cambio like.

Ad esempio sotto ad un post di un giornale locale che riportava la violenza subita da Porpora Marcasciano c’erano commenti di questo tenore:

“Qualunque cosa succeda c’è sempre chi fa il filmino, questa volta nemmeno uno straccio di testimone. Mah! Qualche dubbio rimane”.

Leggendo questo e commenti simili non nascondo che mi è sorta una notevole rabbia, perché è come se si desse per scontato che una cosa per poter esistere debba essere fotografata o filmata e ciò inevitabilmente ha conseguenze gravissime come è evidente da numerosi fatti di cronaca. La priorità diventa filmare, come se quello fosse il principale strumento di reazione alle violenze, l’intervento diventa superfluo se non c’è testimonianza. E numerosi purtroppo sono i casi dove la gente ha filmato e non ha agito come il caso della morte di Alika a Civitanova marche.

Sono tanti quindi gli aspetti di criticità e sui quali lavorare, per questo oggi come maggioranza presenteremo un ODG a mia prima firma del quale chiedo trattazione urgente per esprimere solidarietà alle vittime di violenza e per sollecitare la continuità delle politiche locali in materia nonché l’implementazione delle politiche nazionali, come già ricordato dalla Vicesindaca in Consiglio venerdì scorso.

Emancipazione dell’uomo

La prima ad avere l’intuizione che la lotta per la parità di genere passasse dalla lotta per il riconoscimento dei diritti degli uomini è stata l’ex giudice della corte suprema degli Stati Uniti Ruth Ginsburg. Nel corso della sua carriera da avvocatessa ebbe l’idea rivoluzionaria di rappresentare ricorrenti uomini nella cause per discriminazione sulla base del sesso. La strategia di Ruth Ginsburg aveva di mira la liberazione degli uomini dalle classificazioni basate sul sesso, aprendo loro le porte della sfera domestica e quindi porre specularmente le condizioni per la reale emancipazione femminile, che dipende in buona misura dalla condivisione dei compiti di “cura”. Ruth Ginsburg ha invertito il paradigma che fosse la donna a dover inseguire l’uomo, affermando che l’uomo stesso vive in una permanente e inconsapevole carenza di diritti dettata da un sistema culturale miope