Non ce la fanno più. E se ne vanno. Qualcuno ha già presentato le dimissioni e andrà nel privato, altri (moltissimi) hanno approfittato della porta aperta dal concorso regionale per medico di famiglia e la varcheranno, chiudendosi alle spalle il lavoro della propria vita. È solo questione di giorni. Pronto soccorso: la grande fuga dei medici. 

La prima linea degli ospedali, quella che ha retto un intero Paese durante la pandemia, sta perdendo non solo pezzi, ma pezzi da novanta. Si prova a tamponare dando il «gettone» (60 euro lordi l’ora, in attesa dei 100 promessi da viale Aldo Moro) ai medici interni, ormai sfiancati, però, da turni massacranti e una qualità del lavoro colata a picco già prima del Covid. 

Il Sant’Orsola rischia di perdere 14 medici del Pronto soccorso, su 32: 2 medici, ritenuti il traino della squadra, andranno nel privato, 12 hanno fatto il concorso da medico di base e sono tutti in graduatoria; a giorni prenderanno una decisione, ma qualcuno già sa che se ne andrà. Al Maggiore, che ha uno staff di 31 medici, che ruotano su ps e medicina d’urgenza, l’hanno fatto in 6 il concorso: ad andarsene saranno probabilmente in 4, ma potrebbe essere solo l’inizio.

Il  Pronto soccorso è diventato un inferno negli ultimi anni. Qualcuno parla del 2015, qualcuno del 2017, difficile individuare un inizio: i tagli sistematici, da una decina d’anni a questa parte, hanno portato a oggi. Il Covid ha solo scoperchiato un vaso di Pandora enorme. Dentro c’è di tutto: «La medicina del territorio che non risponde ai bisogni della popolazione, i medici di base con troppi pazienti, l’erosione continua di posti letto, l’invecchiamento della popolazione, la scuola di specialità in medicina d’emergenza-urgenza che copre in media solo il 50% di posti a disposizione e i bandi per reperire medici in corsia che restano vuoti», dicono i lavoratori e confermano aziende sanitarie e sindacati. Il risultato, quello più visibile, la punta dell’iceberg, è il «boarding». Letteralmente l’«imbarco», quello che si fa in fila quando si prende l’aereo. Solo che in questo caso la fila è delle barelle in attesa di un letto in un reparto. Al Sant’Orsola a luglio, ottobre, novembre e dicembre il «boarding» (diventato quasi reparto) del policlinico è arrivato ad avere anche 25-30 pazienti. Una situazione così grave che, data la carenza ormai cronica di personale, si è chiesto il massimo in termini di turni, presenze festive, ore extra. Ma poi i lavoratori non ce l’hanno fatta più e non hanno accettato di coprire i turni festivi vacanti pagati «a gettone» per gestire pazienti di fatto non loro. E dopo alcune frizioni, alla fine l’azienda ha fatto un bando interno per trovare qualcuno disposto a occuparsi dei pazienti in barella la domenica e nei festivi: hanno risposto solo in 4 o 5. Quindi il «boarding» è stato addirittura «istituzionalizzato» con un medico ad hoc. Al Maggiore la situazione è assimilabile a quella del Sant’Orsola, con la differenza che, essendo dell’Ausl, qualche posto letto, negli ospedali in provincia, si trova più facilmente. L’inferno del «boarding»c’è anche se i cittadini  non sono più numerosi di una volta, anzi, non sono ancora tornati ai livelli pre Covid, ma sono casi più complessi e ci sono tanti anziani che avrebbero bisogno di strutture a bassa soglia. 

«Il ps ormai è diventato l’ammortizzatore di tutto quello che non va nel sistema sanitario: si è creato uno scollamento tra le esigenze della popolazione e quello che la medicina del territorio può erogare. Ma quello che uccide di più il medico del ps oggi è il “boarding”. 

I medici non vogliono più soldi, chiedono di essere alleggeriti nei turni. Non è quasi più una questione sindacale, va riconosciuta la fatica psicologica». E quello che una volta era un posto attrattivo e formativo, soprattutto nei grandi ospedali, diventa uno spauracchio. In queste condizioni, prendere il posto da medico di base sembra un miraggio, l’oasi nel deserto. E qualcuno sta pensando di andare a lavorare a gettone per i grandi ospedali del Nord: per un turno di 12 ore si guadagnano fino a 1.800 euro. I medici a gettone delle cooperative sono arrivati anche qui, nella terra da sempre definita dell’eccellenza sanitaria: nel Ferrarese, e adesso anche a Scandiano e Correggio, in provincia di Reggio Emilia. A Bologna, nei grandi ospedali del capoluogo, come negli ospedali della provincia, ancora non si è arrivati alle cooperative, forse più per una questione politica, ma è difficile scamparla, visto quel che sta accadendo. 

Come politici dobbiamo fare di tutto per arginare la fuga da un servizio essenziale per i cittadini.  La sanità deve rimanere pubblica e dobbiamo con tutte le nostre forze combattere perché questa non venga svenduta e chiedere al Governo che finanzi questo servizio perché questa condizione di disagio è cominciata dai tagli fatti in passato. 

Per questo vi invitiamo a firmare la petizione del Movimento per la Sanità pubblica.