Combattere il traffico di esseri umani e gli sbarchi illegali e fermare le reti di trafficanti. L’Italia di Giorgia Meloni lo fa lanciando il “Processo di Roma”, con la Conferenza Internazionale su sviluppo e migrazioni, tenutasi a Roma il 23 luglio che ha visto la partecipazione dei leader di molti Stati del Mediterraneo, del Medio Oriente, del Golfo, oltre agli Stati Ue di approdo e partner del Sahel e del Corno d’Africa, e i vertici delle Istituzioni europee e finanziarie internazionali. mNel dettaglio : Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Mauritania, Libia, Cipro, Libia, Etiopia, Egitto, Malta, Giordania, Nigeria, Algeria, Libano, Arabia Saudita, Marocco, Oman, Kuwait, Turchia, Grecia, Qatar, Bahrein. Tanti paesi che hanno le dittature o sono finanziatori di regimi autoritari. I rifugiati scappano da loro e Noi li aiutiamo a fermarli. Un cane che si morde la coda.
“Il sostegno a profughi e rifugiati è un dovere da cui nessuno può sottrarsi. Chi fugge da guerre e catastrofi ha il diritto di mettersi in salvo. Ma questo diritto non può comportare automaticamente il diritto di essere accolti ovunque. Un dovere di solidarietà è quindi potenziare il sostegno economico a chi si trova ad accogliere un numero maggiore di rifugiati”, è il messaggio della presidente del Consiglio. E invece no, la stragrande maggioranza non punta verso l’Occidente né tanto meno, in particolare, verso l’Europa. Lo dicono ancora una volta i rapporti dell’Unhcr. La percentuale di chi cerca di arrivare nel Nord del mondo si ferma al 13/14 per cento. All’Europa guarda poco più del 6 per cento. E infatti tra i primi dieci paesi per numero di profughi/rifugiati ospitati figura un solo stato occidentale, la Germania, con quasi 1,2 milioni. Tutti gli altri sono Stati africani o asiatici. Il Libano, che ha 5 milioni di abitanti e ospita quasi un milione di profughi: il 20 per cento dell’intera popolazione. Per questi paesi, tuttavia, l’Occidente non parla mai di “invasione”. Anzi, arriva a pretendere che quei profughi restino lì e che quei governi blocchino le eventuali partenze, in cambio magari della “mancia” di un “finanziamento per lo sviluppo”.
Secondo i rapporti dell’Ispi se si calcola la percentuale dei rifugiati accolti nei principali Stati Ue rispetto alla popolazione, ne emerge che al primo posto c’è la Svezia (2,3), seguita da Germania (1,5), Grecia (1,1), Francia (0,7), Danimarca (0,6), Spagna (0,3). L’Italia si colloca solo all’ottavo posto, con lo 0,2 per cento. Va da sé, allora, che non c’è alcun allarme immediato e meno che mai una “invasione”, né in Italia né in Europa. Finora si è fatto esattamente il contrario, riproponendo l’antica immagine del “nemico alle porte”: il meccanismo perverso che da secoli individua nel “diverso” – in questo caso i migranti – una minaccia o quanto meno il capro espiatorio su cui scaricare le responsabilità di problemi, difficoltà, frustrazioni, fallimenti.
Il risultato è una politica migratoria fatta di “muri”, che si occupa non dei migranti, delle persone, ma di come impedire che i migranti arrivino. A qualsiasi costo. Nasce da qui il progetto di chiudersi come in una fortezza, con una serie di barriere sia fisiche che politico-legali. I primi passi sono stati mossi ormai vent’anni fa, mettiamoli in fila: Costruzione del vallo intorno alle enclave spagnole di Ceuta e Melilla nel 2000, Processo di Rabat nel 2006, Serie di accordi bilaterali nel 2007, Processo di Khartoum nel 2014, Vertice di Malta nel 2015, accordo con la Turchia nel 2016, Memorandum Italia-Libia nel 2017, altri accordi di polizia ed infine Memorandum con la Tunisia nel 2023.
Una soluzione possibile, forse l’unica, per il problema immigrazione, allora, si tratta di cambiare la politica del Nord nei confronti del Sud del mondo, abbandonando il retaggio coloniale di sfruttamento e di egemonia dominatore-dominato, che non di rado ancora la caratterizza, per impostare un rapporto da pari a pari, di rispetto reciproco. In un comune programma di crescita e sviluppo.