Dall’articolo dei giornali si legge che sono cresciuti del 55% dal 2018 al 2020, i nuclei famigliari e quasi raddoppiate le persone in cerca di un sostegno.
Sempre più famiglie italiane bussano alla porta della Caritas, è la pandemia che le ha portate. In termini assoluti sono 784 nuclei in più. Madri e padri che non riescono più a tirare avanti: non si arriva a fine mese se il lavoro è saltato, se c’è la cassa integrazione che non basta a pagare il mutuo o l’affitto e a crescere i figli.
Sarebbe sbagliato concentrarsi sulla genesi naturale della pandemia senza dare ascolto alle disuguaglianze economiche, sociali e politiche nella società e nel mondo. Dobbiamo elaborare un concetto di solidarietà più ampio rispetto all’impegno generico di aiutare qualcuno, cioè comprendere più in profondità che l’incertezza e la fragilità sono dimensioni costitutive della condizione umana. Occorre rispettare questo limite e tenerlo presente in ogni progetto di sviluppo, prendendosi cura della vulnerabilità degli altri, perché siamo affidati gli uni agli altri.
La pandemia ci ha privato dagli abbracci, della gentilezza delle strette di mano, dell’affetto dei baci e ha trasformato le relazioni in interazioni timorose tra sconosciuti, lo scambio neutro di individualità senza volto, avvolte nell’anonimità dei dispositivi di protezione. Precauzioni utili ma la sofferenza come dato costante per la maggior parte della comunità.
La solitudine che fa soffrire è la percezione che le relazioni con gli altri non siano della qualità che desidereremmo avere. Pensiamo che gli altri non ci conoscano affatto; in questo modo ci sentiamo soli e isolati anche se viviamo in mezzo a una moltitudine di persone. Questo è possibile, grazie alla lezione della pandemia, invertire la rotta e trovare un pensiero che possa trasformarsi in un ringraziamento per la vita data, come se fosse un passaggio verso una rinascita della vita stessa.
Dal programma della coalizione di maggioranza, il punto di vista prioritario che scegliamo è l’affermazione del diritto alla salute e alla fragilità. La fragilità della persona e della famiglia a Bologna non può essere una cosa di cui vergognarsi, una condizione di solitudine e abbandono. Ecco perché una comunità solidale si organizza per non lasciare indietro nessuno, predisponendo quanto serve. Occorre concentrarsi sulla lettura completa dei bisogni delle persone, sullo sviluppo delle cure intermedie e dei presidi sanitari di prossimità.
E’ necessario ribaltare il paradigma, togliendo dalle spalle delle persone e delle famiglie, lo stress burocratico dell’accesso all’assistenza, i tempi di attesa, il peso economico della fragilità con l’implementazione degli strumenti di integrazione al reddito. I fondi del PON che accompagneranno i prossimi anni di progettazione, interessano tutti questi ambiti di intervento (sociale, abitativo, educativo). Vanno promosse sperimentazioni di lavoro di comunità, laddove alle prestazioni erogate dal pubblico si associa l’azione di soggetti del territorio (associazioni, parrocchie, cittadini attivi). È necessario incrementare il numero di risorse alloggiative (residenze H24 con spazi di vita comuni) che evitino l’attuale “strozzatura” nelle strutture per persone senza dimora. Spetta alle istituzioni farsi carico delle soluzioni, organizzandosi di conseguenza.
Il Comune di Bologna dovrà farsi promotore di un Patto contro la povertà e l’esclusione sociale che coinvolga diversi soggetti in un’azione comune, collaborativa e sinergica a più livelli. Serve una Cabina di Regia per la collaborazione tra le varie istituzioni.
Infine affermiamo il diritto alla fragilità, perché nessuno debba viverla come uno stigma o in solitudine. Lo scopo della giornata nazionale è cercare di coniugare consapevolezza, coscienza, pensieri e azioni per il superamento individuale e collettivo di questa grave condizione umana, nel solco di una comunità attiva, resiliente e solidale. E di avere professionisti preparati e sensibili che sanno curare: riconoscendone i segni e intervenendo in tempo.
Siid Negash