20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, appuntamento annuale voluto dalle Nazioni Unite per riconoscere la forza, il coraggio e la perseveranza di milioni di persone costrette a fuggire nel mondo a causa di guerre, violenza, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Tutti i rifugiati hanno il diritto di essere protetti, chiunque siano e da qualsiasi parte provengano, e di ricostruire la loro vita in dignità. L’accesso all’asilo è fondamentale ma la protezione si manifesta concretamente solo attraverso un processo equo di integrazione sociale ed economica nel paese di accoglienza e per dirla meglio nel comune d’accoglienza. Trovare asilo, infatti, è solo l’inizio: una volta fuori pericolo, i rifugiati hanno bisogno di opportunità per superare i traumi, mettere a frutto il proprio talento, formarsi, lavorare e contribuire al paese che li ha accolti.
1510 sono le vittime del 2022, morte per arrivare in Europa dal Sud del mondo, sono dati più gravi degli ultimi anni e si tratta di persone in fuga da situazioni di crisi non meno drammatiche di quella dell’Ucraina. Ma queste persone non hanno “visibilità” e soprattutto restano escluse dalla politica di accoglienza adottata nei confronti dei profughi dall’Ucraina, anche se sono, in assoluto, in numero molto inferiore. Già questo dovrebbe far riflettere e costituire argomento di attenzione e dibattito.
Per Noi il confine neppure esiste. O, se esiste, è una semplice incombenza da sbrigare, una cosa fastidiosa da smaltire. Per Noi, viaggiare attraverso l’Europa – specialmente nell’area Schengen – significa poterci muovere liberamente da un Paese all’altro senza alcun bisogno di mostrare un documento. Senza alcuna ansia di sottoporci a un controllo. Ma tutto cambierebbe se Noi non fossimo dei cittadini europei, e volessimo attraversare – per i motivi più diversi – il Vecchio Continente. Se, per esempio, venissimo dal Gambia, dal Mali, dal Sud Sudan, dall’Eritrea, dall’Afghanistan, non potremmo fare ciò che ho appena detto. Per Noi le frontiere esisterebbero: eccome. Quasi ovunque, per Noi le frontiere sarebbero alti muri, pesanti barriere, porte sbarrate. Limiti invalicabili. Tutto, insomma, tranne che liberi passaggi per attraversare spazio e tempo. Perché per noi lo spazio sarebbe inaccessibile, e il tempo fermo, sospeso, negato. A Noi i confini mostrerebbero – ancora, sempre – tutta la loro durezza. Tutto il loro impietoso spettacolo. «Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori», recita un vecchio adagio. Per chi sta fuori, le frontiere non sono solo simboli di potere. Sono esse stesse l’esercizio del potere. Separano l’inclusione dall’esclusione, il legale da ciò che è ritenuto illegale, l’umano da ciò che si vuole rappresentare come de-umanizzato. Ciò che esiste da ciò che non ha, né avrà, il diritto di esistere. Non lì, non all’interno di quei confini.Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina la mobilitazione della popolazione occidentale per fornire aiuto agli ucraini in fuga è stata di una generosità e un altruismo senza precedenti. Forse per la prima volta anche gruppi del centrodestra si sono spesi in prima persona per portare i profughi ucraini al sicuro in Italia, in altre circostanze questo tipo di azioni sarebbero state viste come “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Forse ora avremo empatia verso tutti quelli che fuggono da casa Loro. Come recita un verso tratto dalla poesia di Warsan Shire “Home (casa)” : capisci, / nessuno affida i propri bambini ad una barca /a meno che l’acqua non sia più sicura della terra»