Abolire il reato di clandestinità. Lo aveva già sollecitato e adesso lo ripete, il procuratore capo di Trieste Antonio De Nicolo, alla luce di quando quanto sta avvenendo una volta ancora anche al confine della regione Europa.
Gli ucraini e le ucraine che fuggono dalla guerra, infatti, sono tutti senza visto, “clandestini”, potenzialmente autori del reato di clandestinità (di cui tratta l’articolo 10 bis del testo unico immigrazione), introdotto dalla legge 94 del 2009 (Bossi-FINI?, ancora in vigore , in forza della quale lo straniero che entra o si trattiene nel territorio italiano, in violazione delle disposizioni che disciplinano l’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi extra Ue, è punito con la sanzione dell’ammenda da 5mila a 10mila euro. Non serve a fermare gli ingressi illegali. Intasa i tribunali. Frena le inchieste sugli scafisti. E come se non bastasse ha costi pesantissimi per lo Stato», fu il giudizio dell’Anm che, di fronte al rinvio del governo sull’abolizione, rivolse l’invito a tutta la politica a non far «prevalere sul ragionamento la demagogia, perché è con le scelte ponderate che si tutela la sicurezza».
Mai come oggi appare evidente che la “clandestinità” non è una scelta: i cittadini ucraini e le cittadine ucraine che escono dai confini della propria nazione in cerca di protezione, per primi chiedono di vedere regolarizzato il proprio status. Nessuno di noi oggi si azzarderebbe a definire, una madre in fuga da Kiev o un bambino arrivato con una parente lontana, un clandestino/a.
Per questo è da calendarizzare e discutere un DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa dei senatori DE FALCO, NUGNES e LA MURA depositato al senato IL 22 SETTEMBRE 2021 con l’intento dell’Abrogazione dell’articolo 10-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di immigrazione.
La cancellazione di questa odiosa e inutile fattispecie di reato avrebbe ulteriori conseguenze importanti: cancellare la parola « clandestino » sminuirebbe enormemente i guadagni dei trafficanti e della malavita.
Inoltre avrebbe anche l’effetto di eliminare uno stigma che disumanizza coloro che ne vengono colpiti. « Clandestino », infatti, segna come « deviante, criminale » una persona alla quale viene negato il diritto ad essere considerato essere umano, ovvero persona con un passato di vita, trasformandola in mera unità di conto statistica. E di una unità di conto non si piange la morte in mare o a terra! Qualificare qualcuno come « clandestino » consente dunque un’operazione di rimozione e disumanizzazione.
Se di numeri dobbiamo parlare, per entrare in Europa, i morti e dispersi dall’inizio dell’anno sono in totale 477 di cui 39 lungo le vie di terra e 438 in mare.
In mare la ripartizione è la seguente: Mediterraneo orientale 8, Mediterraneo centrale 198 e Mediterraneo occidentale e Atlantico (rotta spagnola) 232.
Chi ne esce bene è l’Europa, il procuratore capo di Trieste Antonio De Nicolo dice: «Per fortuna la Ue ci dà una mano, con un intervento del Consiglio, per agevolare l’ingresso di queste persone. Potremmo a questo punto utilizzare sotto il profilo giudiziario questa decisione per poter archiviare in massa i fascicoli precedenti di reato di clandestinità». Perchè esiste da tanto una legge che ci consente ciò, l’Europa con la DIRETTIVA 2001/55/CE DEL CONSIGLIO del 20 luglio 2001 e con il Decreto Legislativo nazionale che ha attuato la direttiva del 7 aprile 2003, n. 85, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi.
Tenere chiuse o quasi le porte per gli ingressi legali – spiega bene che oggi in Italia NON si può entrare («l’opzione-zero, di cui – secondo l’Ismu – l’Italia è diventata uno degli interpreti più fedeli») alimenta inevitabilmente il mercato dei trafficanti di uomini e gli ingressi clandestini, con il paradosso che le traversate della speranza non si fermano, ma chi ce la fa ad arrivare non riesce più a rientrare in percorsi legali di integrazione e nella migliore delle ipotesi va ad allungare le file di chi tenta la lotteria della richiesta di asilo. Nella peggiore, e più frequente, deve rassegnarsi a vivere nell’ombra e arrangiarsi.
L’Italia è il penultimo Paese dell’Unione europea per numero di permessi di soggiorno per lavoro rilasciati a cittadini extracomunitari, rispetto alla popolazione: 1,7 permessi ogni 10mila abitanti, contro una media Ue di quasi 13. Dietro l’Italia c’è solo la Grecia.
Non è un caso che già dall’estate scorsa, con l’accelerazione della ripresa economica, molti settori produttivi abbiano accusato pesanti carenze di personale, dal turismo all’autotrasporto, dall’edilizia all’agricoltura, dalla ristorazione all’assistenza familiare. È un disallineamento frutto del decennio perso nello scontro sterile tra innocenza buonista e retorica dei muri, in assenza di una concreta gestione delle politiche migratorie e finendo per assecondare più o meno consapevolmente chi ha trasformato le migrazioni da tema prima di tutto economico e sociale in arma da agitare per alimentare paure e raccattare voti.
Non solo. «Il sostanziale azzeramento degli ingressi programmati rappresenta una situazione del tutto incoerente con il ruolo dell’Italia», diventata attrattiva nello scenario migratorio internazionale, e secondo l’Ismu non tiene conto degli scenari demografici del Paese, che mettono a rischio il turnover generazionale delle forze di lavoro.
Il mancato rispetto dei diritti crea tutti i problemi che proprio i comuni in primis sono chiamati ad affrontare e a pagare le conseguenze. E’ giunto il momento di riaprire il confronto, senza pregiudizi e con tanto senso della realtà. E’ il momento di prevedere ingressi legali e garantiti e abolire il reato di clandestinità: significa sottrarre risorse alle mafie internazionali e recuperare risorse e dignità per il nostro paese.