Il governo ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare. 

La riforma andrà a colpire persone che in Italia lavorano con contratti regolari, hanno un’abitazione e individui che hanno deciso di trasferire qui anche la propria famiglia. Persone che sono ormai parte integrante del sistema sociale del nostro paese. 

La risposta ai morti di Cutro non è stata una revisione critica della ratio punitiva e respingente che ha governato le politiche migratorie, ma si propone di estromettere queste persone dal sistema legale, impedendo loro di chiedere un permesso per protezione speciale. La conseguenza immediata potrà essere quella di produrre un esercito di irregolari che non potranno essere allontanati e che andranno ad alimentare il mercato del lavoro nero e dello sfruttamento o della criminalità, su cui lucrano potentati economici sempre più invadenti, interessati ad abbattere i costi della manodopera (ad esempio nel settore agroalimentare o in quello della logistica). Altra conseguenza dell’abrogazione introdotta dal decreto emanato ora dal Governo, sarà quella di aumentare enormemente il contenzioso.

Anche il fine di scoraggiare gli ingressi “irregolari”, perseguito con l’aumento delle quote di ingresso di chi ha già un’offerta di lavoro in Italia, non centra l’obiettivo. Le quote di ingresso in questi anni non hanno funzionato, non solo perché stabilite in misura minore rispetto alle reali esigenze e perché recanti una procedura di attivazione particolarmente complessa soprattutto da parte di piccoli imprenditori o privati, ma soprattutto perché in pochissimi saranno coloro che chiameranno una persona loro sconosciuta, che vive all’estero e le cui capacità lavorative non avranno la possibilità di sperimentare. Inoltre, storia e realtà hanno dimostrato che i flussi migratori non sono arrestabili, finché non cessano le ragioni politiche ed economiche che spingono le persone a lasciare gli Stati di origine per cercare altrove un luogo in cui sopravvivere.

Fuggono da guerre, dittature, persecuzioni, carestie, fame e miseria endemica, disastri ambientali… Eppure, quasi mai sappiamo ascoltarne la voce. E non abbiamo la forza di reggere lo sguardo. Forse perché le situazioni di crisi estrema che li spingono a sfidare la morte per poter vivere nascono dagli interessi e dalla politica del nostro Nord del mondo.

“Ma proprio perché sono milioni – si dice – non possiamo accoglierli tutti. E’ una invasione che l’Italia e l’Europa non sono in grado di affrontare”. E invece no, la stragrande maggioranza non punta verso l’Occidente né tanto meno, in particolare, verso l’Europa. Lo dicono ancora una volta i rapporti dell’Unhcr. La percentuale di chi cerca di arrivare nel Nord del mondo si ferma al 13/14%. All’Europa guarda poco più del 6 per cento. 

Il risultato è una politica migratoria fatta di “muri”, che si occupa non dei migranti, delle persone, ma di come impedire che i migranti arrivino. A qualsiasi costo. Nasce da qui il progetto di chiudersi come in una fortezza, con una serie di barriere sia fisiche che politico-legali. Dal 2006 l’Italia e l’Europa hanno fatto accordi per esternalizzare le frontiere, affidando la vigilanza alle polizie dei paesi contraenti (le più feroci dittature del mondo, come quelle eritrea e sudanese) in cambio dell’impegno di finanziamenti .

Il nuovo decreto flussi dice che in via preferenziale, le quote saranno assegnate ai lavoratori di Stati che promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche sui rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari. Ciò significa che chi fugge da una dittatura può morire in mare e i figli dell’élite della dittatura possono venire con un visto ed un aereo. Ecco sappiatelo.

Ma il primo modo di “aiutarli a casa loro” è quella di non sfruttarli “a casa loro”. La politica occidentale favorisce le grandi società che se ne giovano, minando alla lunga la stessa sovranità politica dei paesi travolti da questo meccanismo. Si tratta di cambiare la politica del Nord nei confronti del Sud del mondo, abbandonando il retaggio coloniale di sfruttamento e di egemonia dominatore-dominato, che non di rado ancora la caratterizza, per impostare un rapporto da pari a pari, di rispetto reciproco.

Chiedo a tutte e tutti di fermarci a riflettere perché questo modo di ragionare cessi e si inizino a vedere le persone e non i numeri.