Se la speranza dopo il mio intervento della scorsa settimana era quella di vedere un dibattito purificato dai termini sensazionalistici, mi ritrovo questo lunedì nuovamente a tornare sui medesimi errori di racconto che certe tv locali e certi giornali continuano a riprodurre come linea editoriale.
Faccio una premessa. La mia attenzione verso la definizione del fenomeno di gruppi di giovani che originano disordini in città non è un modo per allontanarli dalle loro colpe o difenderli, credo che ogni atto che è stato riportato dalla stampa sia grave e meritevole di attenzione da parte delle forze dell’ordine e dei presidi educativi, da quanto accaduto in via D’Azeglio fino agli episodi di via Genova.
Ripeto però che per contrastare un fenomeno nel modo più efficace serve avere ben presente di che fenomeno si sta parlando.
Il disturbo della quiete pubblica, i furti di lattine di coca – cola, le risse, sono fatti gravi che producono disagio e caos ma non riconducibili all’operato di una gang, più strutturato, pericoloso e capillare.
Le azioni criminali giovanili si distinguono tra quelle che hanno una finalità criminale e quelle che non ce l’hanno, il cui motivo aggregante è la socialità e al cui interno si sviluppano dinamiche per le quali alcuni membri iniziano a commettere azioni che possono diventare criminali ma che sono azioni dimostrative: risse, atti di bullismo, atti vandalici. In questi ultimi casi non si è davanti a gang ma a forme distorte di aggregazione che possono essere ancora curate con un intenso investimento sui servizi educativi, le telecamere o le pattuglie servono ad intercettare il sintomo ma non a curare il morbo violento che colpisce ragazzi e ragazze.
Quindi ululare alla volante o alla telecamera lascia il tempo che trova, nella migliore delle ipotesi sposta il problema, o in un’altra zona della città o in carcere ad incubare ancora più rabbia per poi restituire alla società un criminale formato. Serve severità educativa, non violenza mai educativa.
Sinceramente per questo non capisco l’ironia delle dichiarazioni pubbliche di alcuni colleghi della minoranza che scherzano sulla definizione del fenomeno, come se fosse qualcosa di marginale nella soluzione dello stesso, salvo poi a microfoni spenti riconoscere l’errore di una certa narrazione, per poi appropriarsene comunque a fini politici.
Non capisco che senso abbia presentare una petizione per chiedere il cambio di destinazione d’uso di Villa Aldini, quando vi è già un progetto che ne prevede differenti usi dall’accoglienza di MSNA. Spero che non sia un modo per dire che i MSNA in città non possono avere spazio come forma di insensata punizione, perché in ogni caso, se non fosse Villa Aldini ad ospitarli, questi sarebbero collocati in altri luoghi, Bologna non si sottrae alle difficoltà, cerca di affrontarle.
Sui MSNA in particolare è fondamentale comprendere che vi sono grandi fatiche nel accompagnarli in percorsi di inserimento, resi una corsa ad ostacoli dalle politiche nazionali, in modo prepotente in particolare da questo ultimo governo, e anche dalla difficile situazione che a livello locale si sta vivendo in particolare sul tema dei Tutori che con altri colleghi e colleghe ho avuto modo di seguire e sul quale stiamo vigilando. Tutto questo per dire che se i MSNA arrivano a commettere reati come istituzioni non siamo esenti da colpe.
Concludo respingendo una volta di più il termine “Baby Gang”, che fa dei giovani carne da macello mediatico, non indaga le reali problematiche, abdica a qualsiasi soluzione educativa.
A me interessa la corretta definizione perché ogni giorno sono alla ricerca di una soluzione all’origine, dialogando con chi è solo raccontato nelle pagine dei giornali, evidentemente c’è chi si accontenta di definizioni sbagliate e un po’ di vana gloria locale.