Il Comune di Bologna sta lavorando come amministrazione su questo argomento da tanto, anzi vi invitiamo a partecipare alla presentazione del Primo rapporto dell’Osservatorio dello Sportello Antidiscriminazioni (SPAD) e del Piano d’Azione Locale del Comune di Bologna per una città Antirazzista e Interculturale, che si terrà in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale domani 21 Marzo ore 17 presso il Centro Interculturale M.Zonarelli.
Ma con il mio intervento voglio stressare l’argomento della discrimiazione Istituzionale.
La forza della discriminazione istituzionale sta nell’essere difficilmente percepibile e dunque condannabile. È una forma di razzismo subdola che ha la capacità di mimetizzarsi e di esprimersi attraverso un linguaggio criptico.
Il razzismo istituzionale italiano ha due livelli, uno nazionale e uno locale.
Dal punto di vista nazionale, la discriminazione perpetrata nei confronti di minoranze etniche e/o sociali avviene tramite leggi e decreti-legge nazionali, e da parte di ministri a volte muniti solo di cattive parole.
Nella maggior parte dei casi, la discriminazione istituzionale è legata alle politiche migratorie, che è stata negli anni legalizzata e normalizzata. La gravità del fenomeno può essere dunque misurata con l’analisi degli effetti prodotti dalle varie politiche migratorie sui diritti degli stranieri, che sono stati erosi anno dopo anno.
Facendo un excursus sui provvedimenti discriminatori italiani più plateali legati al tema dell’immigrazione, non possiamo che partire dalla Legge n. 40 Turco-Napolitano del 1998, che invece di regolamentare i flussi migratori, va a consolidare una visione discriminatoria del migrante. Viene infatti istituita la cosiddetta detenzione amministrativa con la creazione dei CPTA (centri di permanenza temporanea e assistenza).
Con la Legge n. 189 Bossi-Fini del 2002 si continua a perpetrare un altro atteggiamento discriminatorio nei confronti dei migranti. Da questo momento in poi il destino del migrante verrà connesso allo status di lavoratore: senza un contratto di lavoro non si potrà infatti accedere nel Paese.
Poi ci sono tanti decreti legge che dovevano essere adottati in casi straordinari di necessità e urgenza dal Governo, ma che hanno perpetuato provvedimenti lesivi dei diritti degli stranieri.
È avvenuto ciò con la Legge n. 46 detta Minniti-Orlando e la Legge n. 48 detta Minniti. Queste misure, prima presentate come decreti e poi convertite in leggi, miravano essenzialmente all’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego, l’abolizione dell’udienza, l’estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari e l’introduzione del lavoro volontario per i migranti. Viene così esasperato il carattere repressivo-razzista-sicuritario, a tal punto da costituire una violazione della Costituzione italiana e della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
Tra gli esempi più eclatanti di razzismo istituzionale italiano troviamo il Decreto sicurezza e il Decreto sicurezza bis, emanati dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, che esplicitamente incorniciano un pensiero discriminatorio sotto forma di legge e lo “normalizzano”. I decreti Salvini comprimono i diritti della popolazione straniera, diffondono un immotivato allarmismo e vanno a rinforzare un’immagine negativa e stereotipata del migrante. I decreti “sicurezza” vanno infatti a criminalizzare i migranti, considerati banalmente tutti irregolari e dunque criminali o legati al terrorismo e disagio.
Infine il malfunzionamento dell’Ufficio Immigrazione delle Questure che determina lunghe attese all’ingresso e senza alcuna certezza per le persone di poter effettivamente accedere ai servizi. Molte sono le carenze segnalate e riportate e gran parte di queste sono dovute alla carenza di personale, ma anche dall’assenza di modalità telematiche per accedere ai diversi servizi. Questo comporta tempi di attesa molto lunghi per ottenere un appuntamento e il rilascio del titolo di soggiorno.
Per questo alle questure chiediamo:
- l’istituzione, una volta per tutte, di un sistema di prenotazione e fissazione degli appuntamenti – a seconda del tipo di richiesta – chiaro, univoco ed efficiente, che contempli anche l’uso dei mezzi informatici, fermo restando la possibilità di presentare direttamente la domanda anche recandosi personalmente presso gli sportelli;
- la garanzia di un reale e rapido accesso alla domanda d’asilo, con la previsione di un sistema che consenta di avere prova della manifestazione di volontà di chiedere protezione in Italia anche al fine di accedere alle misure di accoglienza, in attesa della sua formalizzazione;
- il rispetto delle norme sul procedimento amministrativo di cui alla l. 241/90 nel rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno;
- la cessazione dei comportamenti inopportuni posti in essere dal personale della Questura nei confronti degli stranieri e degli operatori che vi accedono, come, ad esempio, pretendere adempimenti non richiesti dalla legge;
Dal punto di vista locale, invece il razzismo istituzionale si manifesta attraverso regolamenti, ordinanze e provvedimenti di amministratori locali esplicitamente o velatamente xenofobi. Uno degli ambiti in cui si registrano la maggior parte delle discriminazioni è quello dell’accesso al welfare.
Vari comuni hanno infatti imposto requisiti di italianità per l’ottenimento di una delle prestazioni sociali più erogate negli ultimi anni. Per fare un esempio,una delibera che ha modificato le regole per beneficiare delle tariffe agevolate per la mensa scolastica e lo scuolabus. Alle famiglie straniere veniva richiesto, oltre all’ISEE, di presentare delle certificazioni in più per dimostrare di non avere possedimenti nei propri Paesi d’origine. Si tratta qui di una discriminazione su base etnica.
Ci sono infatti amministrazioni comunali che hanno adottato criteri discriminatori per l’assegnazione del denaro stanziato dal Governo sotto forma di buoni spesa.
Un sindaco, ha infatti fissato dei requisiti su base etnica per l’accesso agli aiuti con una delibera che prevedeva esplicitamente l’ordine di priorità a favore degli italiani.
È innegabile in questo caso la condotta discriminatoria assunta, che non ha fatto altro che alimentare una guerra tra poveri e comprimere i diritti di minoranze svantaggiate.
Ecco lavoriamo affinché ci siano meno barriere nell’accesso ai servizi, che rendono le persone vulnerabili e a disagio.