Venerdì sono stati tante e tanti i miei coetanei e più piccoli in piazza in tutta Italia per gridare la parola futuro con il desiderio di sentirla propria almeno per qualche ora, in un momento storico dove non c’è cosa più incerta di ciò che accadrà domani.
Siamo la generazione dei senza dimora politica, di chi avrebbe voglia di incanalare le proprie passioni e il proprio impegno in un progetto comune e strutturato ma che fatica a farlo se non in occasioni molto sudate, siamo anche la generazione che in molti casi ha smesso di credere che la politica sia una soluzione, che guarda al dibattito politico come un triste teatrino che a nessuno e a nulla serve.
I Fridays sono la casa di chi non ha casa, un luogo di attivismo, politica e socialità che grida verità pesanti con una leggerezza tagliente come: “questo mondo è l’unico dove gioca il Napoli”, “ci avete rotto i polmoni”, “stiamo saltando le lezioni per darne una a voi” e tra l’altro quest’anno a Bologna è stata fatta la scelta di fare sciopero alle 16:00 del pomeriggio. Dietro questo linguaggio diretto e immediato pronto a fare tendenza c’è la lotta ai disastri che abbiamo visto in questi giorni: le marche, le piogge torrenziali estive, il vento incontenibile. Io stesso questa estate ho avuto modo di sperimentare in un viaggio in tenda una delle peggiori tempeste che si è scatenata in Corsica, con venti che hanno toccato i 230 km/h segnando un nuovo record per l’isola.
Davanti a tutte queste evidenze c’è comunque la necessità che ci sia qualcuno a ricordare con forza e costanza che è ora di agire, per scongiurare il fatto che l’ottica con la quale si affrontano i problemi continui ad essere simile all’atteggiamento di un’allegra cicala che spera che le sue ali non si inzuppino troppo d’acqua e non quello lungimirante delle laboriose formiche.
Sopra i cartelli della protesta di venerdì ci sono anche osservazioni su ciò che accade a Bologna, le assemblee cittadine danno speranza di confronto, l’SFM, il trasporto pubblico e le rinnovabili sono la richiesta forte. Tutte queste tensioni dobbiamo assorbirle e considerarle nel nostro dibattito. Si deve lavorare come non mai per un trasporto pubblico di qualità, dare avvio nei tempi previsti alle assemblee cittadine e investire nelle comunità solari.
Siamo la generazione che non sente la politica vicino ma che ha voglia di farla, quella che fa domande, che fa proposte come l’agenda climatica, che è arrabbiata e sola. La politica deve aprire le porte, avere il coraggio di ospitare dissenso, di costruire conflitto interno per evolvere. È il momento di farlo.