Esprimiamo profonda preoccupazione per l’apertura del Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) presso la caserma Gamberini di Ozzano Emilia. Giovedì 17 novembre, 32 persone sono arrivate nell’ex presidio militare, provenienti dal Centro di Permanenza per i Richiedenti Asilo di via Mattei, dove risiedevano da alcuni mesi in tende. Tra di loro, alcuni con valigie, altri con sacchetti minimi, e alcuni con bagagli ingombranti. La struttura dispone di 300 posti ma richiede lavori di adeguamento strutturale per renderla idonea, oltre a trovarsi in un luogo isolato. C’è il rischio evidente di replicare la situazione di via Mattei, il che è insostenibile. Peggio ancora, il bando emesso dalla Prefettura di Bologna per la gestione della struttura non prevede servizi mirati all’integrazione, rischiando di trasformare questo luogo in un ghetto e generare criticità su vari fronti.

Riteniamo che l’unico approccio sostenibile all’immigrazione sia la creazione di un sistema di accoglienza diffuso, evitando di concentrare numeri elevati in un unico luogo. La soluzione migliore è quella di aumentare i posti nei Servizi di Accoglienza e Integrazione (SAI) sul territorio, seguendo il modello già implementato con successo dall’Emilia Romagna e dalla città metropolitana di Bologna.

Parallelamente, esprimiamo preoccupazione per il “protocollo d’intesa per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria” tra Giorgia Meloni e il primo ministro albanese Edi Rama. Questo accordo, insieme ad altri simili tra l’Italia e paesi extra-UE, solleva dubbi riguardo alle tempistiche degli sbarchi, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo e altri aspetti critici. La Commissaria per i diritti umani Dunja Mijatović ha giustamente espresso preoccupazione per la crescente tendenza europea di esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo. La dichiarazione mette a punto una serie di fattori ambigui e problematici dell’accordo: “le tempistiche degli sbarchi, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità automatica di detenzione senza un adeguato controllo giudiziario, le condizioni di detenzione, l’accesso all’assistenza legale e a rimedi effettivi […]. In pratica, la mancanza di certezza giuridica probabilmente comprometterà le garanzie fondamentali per i diritti umani e la responsabilità per le violazioni, determinando un trattamento differenziato tra coloro le cui domande di asilo saranno esaminate in Albania e coloro per i quali ciò avverrà in Italia”. Infatti, il memorandum si inserisce perfettamente nel solco di altri accordi, più o meno opachi, che i nostri governi – ma anche altri governi europei e la stessa Unione – sottoscrivono da anni con paesi extra UE.

Questo accordo non è solo una questione procedurale o legale; riflette la nostra storia coloniale e la cultura che la sostiene. Il modo in cui consideriamo l’Albania come un luogo dove scaricare indesiderati è un’eredità del nostro passato coloniale. È fondamentale riconoscere che l’approccio paternalistico nei confronti dell’Albania, come se fosse una regione italiana esterna al territorio nazionale, è problematico e riflette una mentalità coloniale.

Infine, le dichiarazioni del primo ministro albanese Rama, sebbene pronunciate con affetto, evidenziano una visione distorta della storia. L’accoglienza degli albanesi negli anni ’90 non è stata sempre dignitosa o proiettata al futuro, come dimostrano la propaganda anti-albanese della Lega Nord e la paura diffusa durante la crisi migratoria di quel periodo. È essenziale affrontare in modo onesto e consapevole la nostra storia migratoria e adottare approcci umani ed equi nei confronti delle popolazioni in cerca di protezione.