Il fenomeno dei disturbi del comportamento alimentare è in costante crescita come testimoniano i giornali di questi giorni e come ci hanno raccontato in udienza conoscitiva i professionisti che operano in materia sul territorio. Per riprendere il dato più significativo nel 2021 i pazienti seguiti in Regione sono stati più di 2000, nel 2020 sono stati circa 1575 e prima della pandemia 1378. Oltre ai numeri ciò che risulta allarmante è l’abbassamento dell’età media di presentazione del disturbo e l’incapacità di leggere il fenomeno nella quotidianità ed in particolare in ambienti familiari, scolastici e sportivi. Quest’ultimo ambito è gravemente testimone di approcci educativi verbalmente violenti e privi di tatto che pongono questioni enormi nel rapporto con il proprio corpo fino ad arrivare a manifestazioni patologiche di queste. In tal senso è esemplificativo quanto emerso sulla stampa relativamente al mondo della ginnastica ritmica dove frasi come: “abbiamo un maialino in squadra” erano all’ordine del giorno con conseguenze devastanti sulle atlete, che in queste settimane hanno denunciato ciò in modo dirompente. Oltre alla necessità di diffondere una maggiore sensibilità di linguaggio e comportamento in materia di disturbi alimentari le criticità che costellano i loro trattamento sono molteplici.

In primis si riscontrano mancanze o sottodimensionamenti di alcuni livelli di cura, nonché la mancanza di alcune figure professionali nell’équipe di lavoro multidisciplinare, fondamentale per poter approcciare il disturbo adeguatamente in tutta la sua complessità sotto un profilo nutrizionistico, psicologico, psichiatrico, educativo e medico. E’ necessario che i professionisti facenti parte delle équipe siano stabili nella loro condizione lavorativa, dove la stabilità non è garantita il rischio è quello di compromettere la continuità nella cura. 

Oltre ai numeri e alle condizioni del personale si riscontrano in alcuni casi problematiche relative agli spazi, anch’essi fondamentali nel determinare la qualità dei percorsi riabilitativi.

Problematica direttamente derivata da quelle enunciate riguarda la democraticità degli accessi ai percorsi riabilitativi, la quale non può essere garantita se le liste di attesa in alcuni casi prevedono tempistiche per la prima visita di almeno tre mesi, in particolare per quanto riguarda la presa in carico di adulti. La democraticità degli accessi riguarda molto anche le persone straniere per le quali diventa più complesso costruire percorsi riabilitativi in virtù dell’appartenenza a differenti culture e ad una maggiore complessità nel riconoscere le declinazioni del disturbo, a fronte di un maggior rischio che si manifesti come testimoniato da un recente studio spagnolo che dimostra come il rischio di sviluppare un disturbo alimentare sia più alto in adolescenti migranti (di entrambi i sessi) rispetto a quello dei giovani nativi.

Uno strumento che potrebbe risultare utile per fluidificare e migliorare la qualità dei percorsi di cura potrebbe essere l’introduzione del codice lilla nei nostri ospedali cittadini. Il codice lilla è stato istituito a livello nazionale nel 2018 dal Ministero della Salute e consiste in un iter ospedaliero pensato appositamente per accogliere e avviare a un percorso terapeutico mirato chiunque si presenti in Pronto Soccorso con un sospetto Disturbo Alimentare. Il codice lilla prevede una specifica formazione e soprattutto un aggiornamento continuo in tema di Disturbi Alimentari, gli infermieri avrebbero la responsabilità di identificare preliminarmente i sintomi di un disturbo alimentare, sulla base di alcuni parametri clinici fondamentali e del racconto di parenti o accompagnatori. Spetterebbe poi al medico accertare la diagnosi e valutare se ricoverare il paziente o indirizzarlo nella più vicina struttura specializzata in disturbi del comportamento alimentare per intraprendere un programma terapeutico mirato.

Ad oggi questo iter è presente solo in 3 ospedali sul territorio nazionale uno a Genova, uno a Torino e uno a Roma. Credo che anche Bologna debba fare questo passo alla luce dei dati sempre più preoccupanti.

A fronte di un esplosione dei disturbi alimentari il potenziamento delle strutture sanitarie non può essere l’unica soluzione, occorre promuovere a livello nazionale un piano di ricerca che sia attento nello studio del fenomeno e nella elaborazione di nuove forme di cura e prevenzione, in più occorre promuovere in modo capillare lo sviluppo di realtà sociali che possano svolgere attività divulgativa per espandere la sensibilizzazione e la consapevolezza sul tema.

A Bologna possiamo vantare efficaci Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, una consolidata collaborazione tra pubblico e privato accreditato, una formazione universitaria specifica con un master dedicato e a livello regionale un piano di prevenzione e cura finanziato con 1,9 milioni di euro.

Rimane fondamentale imparare a leggere il fenomeno come classe politica, oltre che come cittadini, per sviluppare politiche adeguate. Per questo nel corso di questo mese ci sarà la seconda Udienza conoscitiva in materia di DCA per completare l’analisi e proseguire il dibattito avviato.