Ho appreso con favore il risultato dell’operazione che ha consegnato alla giustizia 34 soggetti che erano invischiati in affari illeciti in zona Barca e che ha dimostrato la presenza delle istituzioni nel contrasto al crimine, come già dimostrato nella recente operazione al Pilastro. 

Detto questo rimango profondamente deluso dalla narrazione che le Periferie continuano a subire. 

La periferia rimane oggetto passivo di narrazioni stereotipate: lo stereotipo non si cela solo dietro al male associato alla periferia ma anche accanto al bene che germoglia senza essere analizzato e sviluppato. Il quadretto delle periferie è replicato costantemente nella cronaca: un mare in tempesta di delinquenza e degrado costellato da qualche isola felice di socialità e attivismo che dà ristoro a qualche naufrago. Un dipinto in bianco e nero che non coglie neanche una sfumatura. Io oggi non ho la pretesa né di raccontare il male né di raccontare il bene ma di stimolare ad aprire gli occhi sulle sfumature che ci sono tra i 2 e che fanno la periferia di tutti i giorni.

Nella Barca di tutti i giorni c’è il chiacchiericcio della carta di giornale stropicciata nei bar la mattina, le luci e gli elettronici suoni di slot machine in qualche bar al pomeriggio e le urla che a volte suonano come vetri rotti nell’indifferenza della notte.

La Barca è 2 supermercati a distanza di 500 metri ma anche gli ortofrutta, le macellerie, i mercati che curano i loro prodotti e i loro clienti e che abitano le piazzette e i portici incastonati nei condomini.

La Barca è scuole medie, elementari, materne e nidi, anche un po’ superiori con l’ITIS che apre le porte di Casalecchio. La Barca è educazione, ma è anche dispersione scolastica, bullismo e noia di pomeriggi vuoti sulle panchine.

La Barca è Intercultura e inter religione, è parrocchia e moschea, è una babele dove tutti parlano lingue diverse ma dove ogni tanto accade il miracolo della comprensione e del rispetto reciproco. 

La Barca è la natura che si incontra con il cemento della città.

La Braca muore nella contraddizione dei rimproveri puntigliosi di anziani meridionali che non riconoscono nei giovani di seconda generazione le sofferenze del loro passato ma il male presente. La Barca vive nei gesti di cura esperta di chi ha capito la genesi dei propri dolori e vuole alleviarli nel prossimo.  

La Barca è una maxi retata, è Andrea Balboni, ma è anche il ragazzo o la ragazza che per pochi grammi di cannabis si trova cucito addosso il ruolo di delinquente nel quale è costretto a recitare salvo miracoli educativi.

La Barca è nei versi dei rapper e dei trapper ricchi di domande, accuse e provocazioni mai ascoltate e sempre giudicate, nella musica sud americana a tutto volume, nel pop di qualche boy band cantato a squarciagola dalle ragazzine, ma è anche musica popolare da balera. 

La Barca è volontariato, animazione sociale e servizi dalle prime case dopo il Reno al Ghisello. La Barca è anche solitudine, abbandono e indifferenza.

La Barca e il Treno, suo simbolo, sono UNESCO non per errore, ma grazie ad uno dei più grandi progressi fatti nel riconoscimento di ciò che è bello. Nell’affermare che il Treno è patrimonio dell’UNESCO si sottrae alla bellezza la sua natura statica: bello è ciò che lo è già e per tanto va tutelato affinché rimanga così per sempre. Bello diventa qualcosa che è in potenza, che ora non lo è ma potrebbe esserlo. Ciò che l’UNESCO si propone di tutelare e sovvenzionare è un sogno, o meglio il concepimento di un sogno, educando una comunità che non si sente speciale se non in ragione della sua emarginazione a sentirsi speciale in virtù della possibilità di diventare protagonisti di un futuro prossimo. Il sogno che è stato regalato alla comunità della Barca è il sogno che appartiene a tutte le periferie e riconoscendolo ad una lo si riconosce per analogia a tutte le altre. Il Treno è ora un simbolo di “bellezza mobile”, della responsabilizzazione del cittadino nel rendere bello il luogo che abita, nella responsabilizzazione delle istituzioni nell’investire nelle periferie. L’amministrazione questo lo deve urlare, deve spiegare questa rivoluzione politica, deve crederci fermamente e convincere!

La Barca come ogni periferia è un puzzle che vive di opposti che si uniscono delineando tante piccole linee di confine sulle quali in pochi camminano e dietro alle quali in molti si chiudono. Come classe politica dobbiamo imparare a camminare e a far camminare sui confini delle nostre periferie. 

Gli articoli dei “day-after” feriscono le comunità perché fanno sanguinare i confini che ho descritto, li inaspriscono e li ampliano. Il male e il bene così come i confini che li separano sono da raccontare con costanza. Credo che nella nostra città, come in molte altre, ci sia un bisogno acuto di approfondimento, per questo solleciterò l’amministrazione per far sì che processi di indagine sociale possano nascere. 

Al contempo invito tutti a considerare le periferie non solo nei “day-after”, invito la stampa ad essere presente con quotidianità: abbiamo bisogno di inchieste e non di cartoline, invito le istituzioni tutte a lasciarsi interrogare dalla complessità delle periferie e ad innescare strategie politiche coerenti con la consapevolezza che si sta maturando negli anni e di cui iniziano a vedersi i primi frutti, invito i cittadini a vivere con fierezza e spirito critico i territori che abitano perché per ogni aspetto negativo c’è un’azione di mobilitazione sociale che può accendere i riflettori e rilanciare i punti bui della nostra città.  

Io credo e vivo nella periferia di tutti i giorni non nella sua annunciazione una volta all’anno.