In Eritrea, la compagnia australiana Danakali ha venduto ai cinesi di Sichuan Road and Bridge Group, con un accordo da 166 milioni di dollari, la metà della sua partecipazione al progetto di estrazione di solfato di potassio dalla miniera eritrea di Colluli, situata nell’omonima depressione ed operata con la compagnia mineraria nazionale eritrea, Eritrean National Mining Company. I progetti avviati a Colluli vantano una riserva di 1,1 miliardi di tonnellate di minerale.
Sarà per la reale constatazione della situazione dei lavoratori nelle miniere che la compagnia Australiana si sta ritirando cedendo la quota ai Cinesi. CI sono tanti precedenti, la Corte Suprema del Canada ha stabilito che Nevsun Resources, il colosso minerario canadese accusato di aver beneficiato del lavoro forzato in Eritrea, può essere citato in giudizio in Canada per violazioni dei diritti umani commesse all’estero.
Il programma del governo eritreo di coscrizione nazionale obbligatoria e indefinita intrappola la sua popolazione nel lavoro forzato per lunghi periodi della loro vita adulta. Attraverso il programma di servizio nazionale, gli eritrei sono costretti a lavorare in capacità sia militari che civili in una varietà di lavori, tra cui in lavoro duro nel settore edile e minerario.
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha paragonato il sistema dell’Eritrea lavoro forzato alla schiavitù e ha invocato Il governo dell’Eritrea deve essere deferito alla CPI per crimini contro l’umanità.
Secondo un rapporto del 2016, in Eritrea sono attualmente arruolati su una popolazione di poco più di 6 milioni tra 300,000 e 400,000 persone. Le speranze che la coscrizione a tempo indeterminato sarebbe terminata con l’accordo di pace firmato con l’Etiopia nel 2018 sono state rapidamente deluse, e il sistema continua ancora oggi nonostante la sua giustificazione originale non sia più valida. Il sistema di servizio nazionale a tempo indeterminato del paese è uno dei motivi principali per cui l’Eritrea è tra i primi dieci paesi per numero di rifugiati in tutto il mondo – in effetti, è l’unico paese tra i primi dieci che non è una zona di conflitto attivo. Coloro che se ne vanno sono ancora molto vulnerabili e spesso cadono nelle mani di trafficanti e trafficanti di esseri umani, ad esempio in Libia. Come risultato, organizzazioni straniere private e pubbliche – tra cui l’Unione Europea e 17 compagnie minerarie – continuano a sostenere il governo e il suo sistema di lavoro forzato attraverso i loro investimenti. Pertanto, il nostro obiettivo è fare sì che le organizzazioni straniere che sono complici del sistema del governo eritreo a disinvestire e cessare il loro sostegno e di dichiarare pubblicamente la loro opposizione alla coscrizione forzata. Ciò renderebbe sia politicamente che economicamente costoso continuare la coscrizione forzata e quindi incentiverebbe il governo a porvi fine.
«La situazione dei diritti umani in Eritrea rimane disastrosa e non mostra nessun segno di miglioramento». Lo dice un rapporto presentato a Marzo dall’Alta commissaria aggiunta al Consiglio dei diritti umani dell’Onu, Nada Al-Nashif. La commissaria ha spiegato che l’Onu ha raccolto «informazioni credibili» che danno conto di «torture, condizioni di detenzione inumane e sparizioni forzate». Il rapporto rileva che «è allarmante che tutte queste violazioni dei diritti umani siano compiute nella totale impunità». E sottolinea che le autorità dell’Eritrea non hanno offerto nessuna collaborazione. Il paese del Corno d’Africa, governato da Isaias Afwerki fin dall’indipendenza dall’Etiopia (1993), non da oggi si segnala per l’autoritarismo e il disprezzo di ogni forma di democrazia. E in territorio etiopico l’esercito di Asmara si è macchiato – sostengono numerose organizzazioni di difesa dei diritti umani – di atrocità, in particolare del massacro di centinaia di civili nella città di Aksum e nel villaggio di Dengolat. Il governo Eritreo (che in sede Onu si è schierato con la Russia che ha aggredito l’Ucraina) ha respinto le accuse a carico del suo esercito definendole «fantasie, frutto di disinformazione».
Per questo oggi 3 Aprile 2023, ore 18:30, presso Piazza Nettuno, si terrà un sit in, assieme ad Amnesty, per ricordare il compleanno di Ciham in prigione in Eritrea da 11 anni. Ciham Ali è una cittadina statunitense-eritrea nata a Los Angeles e cresciuta in Eritrea. L’8 dicembre 2012, quando aveva appena 15 anni, è stata arrestata dalle autorità eritree. 11 anni dopo, è ancora detenuta senza essere mai stata processata o incriminata. Ciham non ha potuto incontrare la sua famiglia e i suoi avvocati da quando è stata arrestata. La sua famiglia non sa nemmeno dove sia detenuta né quale sia il suo stato di salute. Secondo il diritto internazionale, ciò equivale a un sequestro forzato. Ciham è stata arrestata poco dopo che suo padre Ali Abdu, allora ministro degli esteri nel governo del presidente Isaias Afwerki, ha disertato ed è fuggito in esilio.