Il 7 ottobre, l’organizzazione militante con sede a Gaza ha condotto una brutale invasione di Israele, uccidendo oltre 1.400 persone, principalmente civili. Israele ha reagito tagliando le risorse alla Striscia di Gaza e bombardando la regione con attacchi aerei, scatenando una crisi umanitaria. Il bilancio delle vittime a Gaza ha superato le 8.200 unità e 1200 dispersi tra le macerie con oltre 1 milione di sfollati. La popolazione di Gaza è rimasta intrappolata in un campo di concentramento per vent’anni poiché la comunità internazionale l’aveva abbandonata, e nessuno ha avuto alcun impatto sulla loro liberazione da quel campo di concentramento.

L’attacco perpetrato da Hamas, orribile e barbaro in quanto ha essenzialmente preso di mira e massacrato dei civili, è stato una risposta alla politica israeliana di occupazione e assedio e al rifiuto categorico dei governi israeliani che si sono succeduti di trovare una soluzione politica al conflitto. Dovremmo essere in grado di condannare il terrorismo di Hamas e condannare anche l’intransigenza e la violenza di Israele nei confronti dei palestinesi, e capire che questo terrorismo è una risposta a questa intransigenza e violenza. Questo porterà nuove vittime e nuovo odio senza risolvere le cause che, da quasi un secolo, travolgono la popolazione civile sia israeliana, sia palestinese.

È la logica del “loro o noi”: se non li uccidiamo, loro uccideranno noi. In questa logica, è almeno importante rinchiuderli dietro muri e recinzioni di filo spinato. È uno spettacolo triste.

Prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, i politici e gli alti ufficiali israeliani credevano di poter gestire il conflitto con i palestinesi, piuttosto che cercare di risolverlo. In realtà, molte amministrazioni di Netanyahu avevano scelto di mantenere Hamas in Cisgiordania e di indebolire l’Autorità Palestinese, in modo da poter sostenere che non era concepibile alcun accordo politico con i palestinesi; nel frattempo, gli insediamenti continuavano a proliferare nei territori occupati, rendendo sempre meno concepibile qualsiasi compromesso territoriale. In altre parole, in entrambi i casi la violenza è stata il risultato di un’impasse politica deliberatamente scelta da un Israele convinto della sua schiacciante superiorità militare.

Quello che sembra mancare oggi è una conversazione tra questi due gruppi, nessuno dei quali, dopo tutto, deve soffrire direttamente di questa violenza; invece, dimostrano la stessa incapacità di comunicare che affligge il Medio Oriente stesso, la riflettono.

Ci sono molti ostacoli nella società civile e i media, alcuni dicono che è il momento sbagliato per parlare. La mia opinione è che questo sia esattamente il momento giusto.  Se non parliamo di queste cose allora non so perché esistiamo.

Dobbiamo essere capaci di condannare ogni forma di violenza, dobbiamo mobilitarci a tutti i livelli per salvare vite umane, per chiedere una pace giusta che riconosca a palestinesi e israeliani la stessa dignità, la stessa libertà, gli stessi diritti, la stessa sicurezza.

Ma non basta condannare, occorre salvare le vite umane che ancora si possono salvare! I lunghi decenni di occupazioni militari, bombardamenti, uccisioni e abusi che hanno violato tutti i diritti umani fondamentali dimostrano il fallimento di tutte le opzioni militari. Non ci sarà mai pace senza giustizia! C’è una sola via d’uscita: riconoscere ai palestinesi, la stessa dignità, la stessa libertà e gli stessi diritti che riconosciamo agli israeliani. Israele e Palestina: due Popoli. Stessa dignità, stessa libertà, stessi diritti, stessa sicurezza.  Allora dico a Noi, pensavamo di essere assolti, ma siamo tutti coinvolti.