L’Aula della Camera ha approvato la legge di conversione del decreto legge Ong. Il testo ora è al Senato. Il decreto intende regolamentare l’azione delle navi delle Organizzazioni non governative nel Mediterraneo.
Ma cosa prevedere il Decreto ONG? Il decreto ordina alle Ong di procedere allo sbarco subito dopo ogni operazione di salvataggio. Una misura che ostacola ulteriori salvataggi, contrastando con quanto sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che obbliga il capitano a prestare assistenza immediata alle persone in difficoltà.
A questo si aggiunge la recente prassi governativa di assegnare come porti di sbarco luoghi lontani dalle aree di salvataggio: di fatto, le Ong sono obbligate a trascorrere molto tempo in mare, con a bordo persone già in situazione di vulnerabilità, e senza poter effettuare altri salvataggi.
Il Codice di condotta introdotto dalle navi ONG recita così: le navi che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare devono: possedere le autorizzazioni rilasciate dalle competenti autorità dello Stato di bandiera e i requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione nelle acque territoriali; aver raccolto tempestivamente, previa informativa, le intenzioni dei migranti di richiedere la protezione internazionale; richiedere, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco; raggiungere il porto di sbarco indicato dalle autorità «senza ritardi», per completare il soccorso; fare in modo che le operazioni di soccorso non aggravino le situazioni di pericolo a bordo e non impediscano il raggiungimento del porto di sbarco.
Se le ONG violano le prescrizioni si applica al comandante della nave una sanzione amministrativa da euro 10.000 a 50.000. La responsabilità solidale si estende all’armatore e al proprietario della nave. Competente delle sanzioni accertate dagli organi addetti al controllo è il Prefetto della provincia interessata dallo sbarco. Viene poi applicato il fermo amministrativo per due mesi della nave utilizzata per commettere la violazione. In caso di reiterazione della violazione con medesima nave, si applica la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave e l’organo accertatore procede immediatamente al sequestro cautelare.
Sono, poi, previste sanzioni che vanno dai 2000 ai 10mila euro al comandante e all’armatore della nave che «non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità».
In assenza di uno sforzo di pattugliamento e soccorso statale italiano ed europeo, l’allontanamento forzato delle navi di soccorso delle Ong aumenta il rischio di perdita di vite umane in mare. Il decreto impone inoltre compiti eccessivi e ingiustificati al comandante della nave, che dovrebbe raccogliere i dati dei richiedenti asilo: un processo che è invece a carico degli Stati e, come evidenziato dall’UNHCR, deve essere svolto solo dopo lo sbarco in un luogo sicuro e una volta soddisfatte le necessità immediate.
Dal 2017 a fine 2022 quasi 100.000 persone sono state intercettate in mare dalla guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro.
L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. La ricostruzione dei fatti e la qualificazione delle responsabilità dei diversi attori coinvolti nelle attività di ricerca e salvataggio (Sar) nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale deve tenere conto dei rilevanti profili di diritto dell’Unione europea e di diritto internazionale che, in base all’art. 117 della Costituzione italiana, assumono rilievo nell’ordinamento giuridico interno. Le scelte politiche insite nell’imposizione di Codici di condotta, o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale o dalle autorità di coordinamento dei soccorsi, non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati che devono garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro. Eventuali intese operative tra le autorità di Stati diversi, o la paventata “chiusura” dei porti italiani, non possono consentire deroghe al principio di non respingimento in Paesi non sicuri affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.
Noi non siamo d’accordo e chiediamo al Governo italiano di ritirare immediatamente il decreto legge. L’Italia deve garantire una maggiore tutela dei diritti delle persone in cerca di protezione e non ostacolare chi salva le persone che rischiano di morire in mare.
Occorre assicurare canali legali e sicuri di accesso, non ostacolare chi tutela i diritti e la vita, nel pieno rispetto del diritto internazionale colmando così un grave vuoto istituzionale.