Dicembre è stato un mese dove abbiamo assistito a tanti eventi guidati dall’odio e dalla violenza. In Veneto una donna è stata insultata, presa a calci e pugni. Un’aggressione dagli evidenti segnali razzisti quella avvenuta nei giorni scorsi a Venezia, dove tre donne si sono scagliate contro una cittadina straniera che camminava per strada col padre. Vittima della violenza è stata una 29enne di origini bengalesi, moglie di un imam. La donna camminava per strada indossando il niqab e si stava recando da alcuni parenti a Marghera quando è stata picchiata. Visitata in ospedale, il referto dei medici riporta una prognosi di 5 giorni: la 29enne bengalese ha presentato denuncia ai carabinieri. Dopo l’episodio, la comunità musulmana di Marghera ha fatto una manifestazione di protesta qualche giorno fa. Secondo quanto riferito, la 29enne sarebbe stata offesa verbalmente da tre donne con parole dure come: “Ma come ti sei vestita, questa sembra un fantasma” e ancora “Non sanno nemmeno che in Italia non si può andare in giro conciati in questo modo” e alle prime parole è intervenuto il padre della giovane, che la stessa donna ha cercato di proteggere. Poi è scattata l’aggressione fisica con calci e pugni, una violenza inaudita e immotivata spinta fino al punto di toglierle il niqab, riducendolo a brandelli. La vittima vive in città da più di 15 anni, ha studiato nella terraferma veneziana e parla perfettamente l’italiano.

Lo stesso qualche giorno fà a Verona dove in città ci sono stati scontri dopo una partita dei mondiali. I tifosi del Marocco stavano festeggiando con caroselli di auto a Verona. Ma una dozzina di persone, tra cui potrebbero esservi anche esecutori materiali delle violenze, li hanno assaliti. Le forze dell’ordine hanno fatto sapere che i fermati sono complessivamente 13, tutti veronesi e militanti nei gruppi dell’estrema destra cittadina. L’intervento delle forze dell’ordine è avvenuto subito dopo la segnalazione che una quindicina di individui, vestiti di nero e travisati, stavano cercando di avvicinarsi alla zona dove i tifosi marocchini festeggiavano. 

Odio anti-islam/musulmani è l’ostilità infondata nei confronti dell’islam e alle conseguenti pratiche di discriminazione che ne derivano a danno di persone e comunità musulmane. Internet è uno dei terreni più fertili per la diffusione dei discorsi anti-islam tra Europa e Stati Uniti, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, ma è in particolare con l’utilizzo dei social media che questa retorica violenta ha raggiunto la sua eco più ampia.

L’enorme quantità di questi messaggi e notizie riguardanti la comunità musulmana che circolano online e anche sui media più tradizionali, finiscono certamente con l’alterare anche la percezione che gli italiani hanno della presenza, o della migrazione, della comunità musulmana in Europa e in Italia. Lo spiega bene lo studio IPSOS che evidenzia come la maggioranza degli italiani crede che la percentuale di immigrati residenti in Italia si aggiri intorno al 30% della popolazione totale, quando il dato reale è il 7% e che tra questi la presenza di musulmani sia del 20%, quando invece si tratta del 4%. 

Il Codice penale italiano, all’art.595 prevede, inoltre, sanzioni che riguardano i reati di diffamazione, declinati anche per motivi religiosi, di razza, etnia e nazionalità. Infine, anche la legge Mancino, del 1993, contiene misure contro la discriminazione razziale, etnica e religiosa, e quindi includendo potenzialmente anche l’islamofobia.  L’applicazione di sanzioni avviene solitamente in quei casi in cui la discriminazione si manifesta attraverso il ricorso alla violenza fisica, piuttosto che alla sola espressione di idee violente, che in quanto tali dovrebbero essere pienamente punibili .Fuori dal più ampio quadro normativo nazionale, è ormai evidente come una società realmente inclusiva, oggi, debba da un lato educare i suoi cittadini alla conoscenza della diversità e alla sua complessità, mentre dall’altro deve fornire loro le risorse e le competenze necessarie per informarsi e comunicare correttamente a riguardo, anche sulle piattaforme virtuali. In questo scenario, non devono essere da meno gli interventi di prevenzione e contrasto dell’hate speech, i quali per avere un reale impatto devono necessariamente posizionarsi nell’intersezione tra educazione offline e online degli individui, in quella sfera della vita definita onlife.